TOWNES VAN ZANDT (Rear View Mirror Volume Two)
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  Recensione del  16/02/2005
    

Nel Never Ending Tour che lo ha accompagnato verso il suo crepuscolo, Townes Van Zandt ha compiuto una metamorfosi unica e particolare. Oltre a confermarsi un grande poeta, consumandosi fino all'ultimo concerto, si è trasformato da (immenso) songwriter a troubadour d'eccezione, in grado di portare sui palchi di tutte le stamberghe del mondo un repertorio sterminato.
Un passaggio insolito che, prese le debite distanze, ha condiviso soltanto con Bob Dylan e con il suo errare senza meta tra mondi e canzoni. Rear View Mirror Volume Two è l'ennesima testimonianza di quel percorso, più esistenziale che estetico e, pur non aggiungendo niente di più a quello che già si conosce, non manca di motivi di interesse. Intanto, rispetto alla lunga teoria di registrazioni dal vivo, Rear View Mirror Volume Two contiene molta più musica nel suono delle due chitarre e nel violino che appaiono con una certa frequenza, incidendo non poco sulle sfumature delle canzoni di Townes Van Zandt, Loretta su tutte.
Il songbook di Townes Van Zandt viene rispolverato con Greensboro Woman, Come Tomorrow, Blue Wind Blow, Catfish Song, Texas River Song e un pugno di altre ballate. Gli estremi più interessanti li raggiunge in None But The Rain (un'incisione scarnissima, ma una grande interpretazione) e No Deal dove il suo talking blues riporta direttamente a Woody Guthrie, o giù di lì. Poi il songwriter lascia il posto al troubadour e Rear View Mirror Volume Two ed ecco che spuntano una rocambolesca Who Do You Love, la brillante Jole Blon (con il violino in lungo e in largo) e soprattutto il suo lato blues affidato ad una gigantesca Hello Central (Lightnin' Hopkins) nonché a Cocaine Blues infilata nella coda di Brand New Companion (in una versione strepitosa).
Con queste premesse, Rear View Mirror Volume Two ha anche il pregio di raccontarci, rispetto ad altre incisioni simili, un Townes Van Zandt meno sofferente, per quanto sempre ispiratissimo. Da un punto di vista discografico, invece, sarebbe anche ora di offrirgli una retrospettiva un po' più articolata (ovvero un box): il materiale, a giudicare dalla frequenza con cui viene riscoperto, non manca così come non è mai sfiorito l'interesse. In più, Townes Van Zandt è un'icona americana che sopravvive soltanto attraverso canali misteriosi e veramente indipendenti da tutto e da tutti, per cui una certa attenzione è dovuta, più che meritata.