JASON WILBER (King for a Day)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  16/02/2005
    

Aprire un nuovo disco di studio, il terzo per Jason Wilber, con un brano dal vivo, per giunta acustico e solitario, è un'indicazione assai precisa sull'assoluta incoscienza dell'artista. Poiché stiamo parlando di provincia americana (Bloomington, Indiana, per essere precisi) e di outsiders per vocazione, la scelta non coglie di sorpresa più nessuno. Wilber di sicuro non ci ha pensato due volte, visto che il disco lo ha prodotto e suonato praticamente in casa, con una strumentazione ridotta ai minimi termini e l'apporto di pochi fedelissimi amici, tra cui la batteria di Dan Deckard, il basso di Todd Smith, le chitarre, il mandolino e la lap steel di David Steele.
King For A Day, questo il titolo non solo della raccolta ma anche della canzone "incriminata", gioca con grande ironia sui sogni di gloria di un piccolo autore che vorrebbe essere nei panni di Elvis per un solo giorno, ma con le intenzioni di scrivere un finale meno tragico. Jason Wilber decide infatti di restare con i piedi per terra e rinviare la morte del re del rock'n'roll ad un'altra occasione. Nello specifico si tratta di un country'n'roll saltellante che anche nella scarna veste acustica funziona piuttosto bene. Accantonato l'episodio live, anche il materiale inciso in studio non si discosta molto dall'asciutta formula country-folk, ribadendo le intenzioni di assemblare una manciata di canzoni dal basso profilo, intimiste, a cominciare dalla cover di Don't be Cruel, a suo modo originale nel ridisegnarne i connotati. Wilber è un chitarrista che ha prestato servizio per diverso tempo alla corte di John Prine e qui forse risiede la chiave di lettura di un lavoro come King For A Day.
Distante dal maestro per carità, ma certamente segnato a fondo dal suo songwriting: non si spiegherebbe altrimenti l'omaggio finale di Sabu Visits The Twin Cities Alone e meno ancora il talkin' strascicato di Talk About 69 o le delizie degli arpeggi di In Her Vein. Partito con propositi più elettrici, da rocker provinciale diciamo, Wilber si è dunque ritagliato uno spazio da folk-singer, ricordando in questo percorso un altro protetto di Prine, Todd Snider. Abbandonandosi al suono morbido di Tin Angels e Killing The Blues ha compiuto un discreto lavoro di sottrazione, in cui però a farne le spese è stata la sua voce: non è un miracolo di intensità e nel clima un po' spirituale del disco qualche volta cede il passo.
L'attenzione riservata nel ricreare atmosfere omogenee e arrangiamenti minimali tiene comunque insieme i pezzi, provando di tanto in tanto soluzioni più vivaci: ad esempio nella cover virata al country blues di Pay Bo Diddley o nella sudista Satellite, un rock'n'roll sotto le mentite spoglie delle chitarre acustiche. King For A Day è imperfetto quanto onesto nei confronti delle radici del musicista. Wilber piacerà a chi cerca le piccole emozioni.