LOOMER (Love Is a Dull Instrument)
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  Recensione del  16/02/2005
    

Interessantissimo debut album per un sestetto proveniente dal Canada (Toronto, per la precisione), uno dei tanti gruppi che ogni anno emergono nel filone roots-Americana: Love Is A Dull Instrument è però un disco coi controfiocchi, un esordio di quelli col botto, da parte di un combo che si rifa alle sonorità di band come i Jayhawks o gli Uncle Tupelo, passando per Steve Earle, aggiungendo una buona dose di personalità. Il leader è Scott Loomer (da qui il nome del gruppo), aiutato da Andrew Lindsay e Brian Duguay alle chitarre, John Dehaas al basso, Iain Thomson alla batteria e Mike Taylor al pianoforte e organo, con pochi sessionmen sconosciuti tra cui spicca lo steel guitarist Jim Whitford, vero fiore all'occhiello del disco.
Il suono è potente, un country rock solido e chitarristico, con continui impasti tra le sei corde elettriche e la steel di Whitford, sezione ritmica precisa e belle canzoni, tra le migliori da me sentite ultimamente in dischi di questo tipo. È come se i Jayhawks fossero ancora quelli di Louris ed Olson, o che gli Uncle Tupelo non si fossero mai divisi (e la voce un po' dolente di Scott Loomer ricorda in maniera impressionante quella di Jay Farrar): in un'ora di musica non c'è un solo minuto da buttare, è questo nell'era del CD avviene piuttosto raramente. Apre la bella Company Store, ariosa ballata dal sapore agreste, dominata dal dualismo chitarre-steel, molto influenzata dai Tupelos. La roccata Psycotic Killer ha le sonorità elettriche dell'ultimo Steve Earle, quello influenzato più dai Rolling Stones che da Springsteen, oltre ad una scrittura epica che non tutti si possono permettere.
In poche parole: una grande canzone. St. Christopher è invece una tenue ballata a due voci di stampo prettamente acustico, toccante nella sua semplicità; Bluebells & Roses è una splendida roots song, di quelle che ci hanno fatto conoscere (ed amare) i Jayhawks; Imperial Parkette è country rock con ritmo punk, decisamente piacevole ed intrigante. Do What You Do è una di quelle che preferisco, con il suo mood western elettrico che entra sottopelle e provoca brividi di piacere lungo la schiena (il refrain è magistrale): se pensate che esageri dategli un ascolto. La lenta Hercules, ancora elettrica, evoca certe sonorità classiche anni settanta.
È quasi imbarazzante: non c'è un solo brano che non sia meno che buono. La cadenzata My Best Advice, oltre a tutte le influenze già citate, mostra anche tutto l'amore per John Fogerty; con Peace, la più country del lotto, siamo dalle parti di Gram Parsons (influenza primaria di tutte le band del genere Americana). Buddy è il primo brano solo "discreto" della raccolta (era ora, siamo quasi alla fine); l'intrigante Barroom Lullaby ha addirittura qualcosa di beatleasiano, mentre Victory Day chiude il disco come se fosse un film, con un brano lento e notturno che ti immagini suonato mentre scorrono i titoli di coda ed il protagonista si allontana solitario. Non c'è che dire: i Loomer sono una signora band, capace di centrare il bersaglio già con il disco di esordio. Di questo passo, diventeranno grandi in breve tempo.