GREAT UNKNOWNS (Presenting)
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  Recensione del  16/02/2005
    

The Great Unknowns sono veramente degli esordienti. I Grandi Sconosciuti. Bel nome: dice tutto e nulla. Sembra nascondere chissà chi, ma in realtà presenta una band di emeriti sconosciuti. Una band che si è fatta il mazzo per arrivare a questo esordio discografico, pubblicato il 7 Dicembre scorso dalla indie Daemon della Geòrgia. Un disco che ha fatto dire ad Amy Ray delle Indigo Girls "Una delle cose migliori che ho sentito quest'anno". Ed Amy ha ragione perche The Great Unknowns, pur essendo all'esordio, hanno già un suono maturo e scrivono canzoni di peso.
La cantante, Becky Warren, è la laeder del gruppo ed ha scritto da sola, o in coppia, tutte le canzoni di questo album. Viene dal profondo Sud, ed è molto fiera di questo fatto, poi si è spostata a Boston dove ha registrato un album con una band chiamata North House che però non è mai stato pubblicato perché l'etichetta che li aveva sotto contratto è fallita. Warren però ha continuato a scrivere ed a suonare, cercando ispirazione dalle sue eroine che, guarda caso, sono anche le nostre: Lucinda Williams e Patty Griffin. Ha trovato un collaboratore fidato in Mike Palmer, membro del quintetto power pop Invisible Downtown.
I due hanno cominciato a lavorare insieme ed hanno trovato la formula per scrivere canzoni a quattro mani e, quindi, si sono messi a suonare dal vivo scegliendo la base ritmica dei North House: Andy Eggers (batteria) e Altay Guvench (basso). I loro spettacoli, passionali e pieni di entusiasmo, hanno inziato a creare adepti e la band ha così trovato un equilibrio definitivo ed è arrivata ad incidere il disco d'esordio. E questo ha creato un tale interesse che Amy Ray, presidente della Daemon Records, oltre a fare apprezzamenti sul gruppo li ha messi anche sotto contratto. Ma la Ray non ha torto, i Great Unknowns hanno un suono maturo e la voce della Warren è potente e ben calibrata, mentre la strumentazione presenta chitarre, basso e batteria, ma anche l'uso continuo di fisarmonica, organo, dobro e mandolino. Una musica energica ma profondamente venata di country che mischia rock e radici in modo diretto, senza preamboli.
E poi ci sono le canzoni: fiere, ben impostate, sicure, gradevoli. Insomma un esordio che ha il passo di una band ormai rodata e la sicurezza di chi è conscio dei propri mezzi. Ascoltate When I Was Your Girl, energica ballata in cui l'armonia delle voci viene scaldata da una fisarmonica avvolgente, mentre le chitarre fendono l'aria. Oppure Las Vegas, che apre l'album in modo diretto tramite una composizione lenta ma ben strutturata. Il country si affaccia in Round Hill, con un banjo che tiene banco dietro alla voce della Warren, mentre Forever mischia sonorità western con una fisarmonica quasi nortena, calda e coinvolgente. Abilene è folk, ha il passo veloce ed una struttura sonora leggera.
Ed il disco continua su questo standard senza scendere mai sotto il livello di guardia ma lasciando ancora il segno con Don't Come Home, segnata da un'organo intenso, oppure con la rutilante 1000 Miles From Tennesse che sprizza umori country e vibrazioni rock. Il suono della band, energico quanto basta, mischia in modo egregio rock e radici e regala quaranta minuti di musica solida, in puro stile Americana, come non sentivamo da tempo.