Alla terza uscita discografica gli
Wilco spiazzano tutti ed invece di vestire i panni degli Stones dell'alternative country, come un po' ci si aspettava dopo
Being There, virano verso
Pet Sounds dei Beach Boys facendo apoteosi dello spirito puramente pop di Brian Wilson. Chi si aspettava che l'enorme potenzialità sonora e la ribollente schizofrenica creatività di
Being There trovassero sfogo in un'opera di rock adulto, in virtù anche dell'esperienza maturata dal leader Jeff Tweedy con i Golden Smog e con Billy Bragg, rimarrà presumibilmente deluso.
Perché
Summer Teeth non è un disco di rock anche se ce n'è parecchio ma un disco di canzoni e ballate pop. Che, se da una parte è una possibile evoluzione della vena melodica di Tweedy, dall'altra ha poco a che vedere con quello che è stato Wilco e gli Uncle Tupelo. Qualcuno dirà che è la ragione per cui Tweedy e Jay Farrar si sono divisi ed è vero ma il nuovo disco sembra troppo leziosamente songwriter per pensare che dietro ci sia il roots-rock.
Ridotto drasticamente il ruolo della chitarra, soprattutto quella elettrica, abbandonate del tutto le implicazioni rurali e stradaiole,
Summer Teeth è un disco che risalta Jeff Tweedy come autore, lo mette sul piedistallo e riverisce il suo egocentrismo con del pop ombroso ed inquieto, sublime nelle melodie e nella voce ma alla lunga un po' vanitoso.
Che Tweedy fosse un grande scrittore di ballate e la sua voce, assonnata, quasi assente ma in grado di far vibrare le corde dell'emozione, abbia la virtù di coinvolgere l'ascoltatore in uno di quegli strani meccanismi di tensione ed estasi proprie delle grandi canzoni lo si era capito con
I must be high, con
Hotel Arizona, con
Someone Else's Song, con
California Stars, con
All the Same to me e quello che ci si aspettava, ora, era la sintesi tra melodia e rock, tra tradizionalismo e modernità, tra radici e rumorismo metropolitano.
Ma gli artisti non sempre assecondano i fans (per fortuna) e quello che manca a
Summer Teeth è proprio il rock'n'roll perché le canzoni, la melodie, le armonie e gli arrangiamenti ci sono ma senza il rock queste, alla fine, mostrano la corda e non possono far dimenticare chi era Wilco. Jeff Tweedy si è innamorato di Brian Wilson (non è il solo visto che Michael Stipe ha le stesse preferenze) e il Beach Boy è evidente in tutto il disco.
Le composizioni hanno il suo stile, c'è tanto piano e tanti arrangiamenti e Wilson viene preso come modello di un pop americano che finalmente può fare a meno dei Beatles. Così
My Darling è una specie di barrelhouse lieve ed etereo che non avrebbe sfigurato in
Smiley Smile dei Beach Boys,
Waking up/Feeling old è musica leggera classica americana,
Candy floss è quasi imbarazzante per le armonie vocali e gli arrangiamenti alla Pet Sounds.
I presupposti per una simile svolta Jeff Tweedy li aveva già manifestati sia in
Being There sia in
Weird Tales dei
Golden Smog dove aveva preso l'acustica e da solo aveva cantato
Please tell my brother ma qui la scelta di campo è radicale e troppo univoca. Più di un brano è pesante nell'economia generale del disco, in
Nothin's Ever going to, We're just friends e Pieholden Suite, Tweedy si fa prendere la mano, sembra sopra le righe ed il suo pop da introverso diventa stucchevole.
Nonostante ciò
Summer Teeth è comunque ricco di belle canzoni perché Tweedy ha un particolare verve con le melodie e quando il pop incontra il rock via Chicago il suono Wilco rimbomba alla grande. L'iniziale
Can't stand it ad esempio ha un appeal anni 60, si sente nello sfondo il rumore di
2000 light years from home e nella front line la cadenza dell'R&B strambo di Dan Zanes nell'incompreso Cool down time. La seguente
She's a jar è una canzone che non da scampo. Sfido chiunque a non lasciarsi sedurre dalla sua atmosfera. Jeff Tweedy canta come se fosse lì per caso con una melodia ammaliante, la chitarra è leggera e la veste generale del brano è molto british, da canzone folk del primo Lp dei King Crimson. Ci sono anche le trombe ma non fanno festa.
I'm Always in love inizia invece come Waiting for my man dei Velvet e per tutto il brano questa ossessione ritmica incede sulle altre interferenze del brano che si rivela pop di sopra e Lou Reed di sot
How to fight the loneliness, ovvero come combattere la solitudine è un'altra perla. C'è una sottile linea d'organo, una chitarra acustica, una percussione artigianale ed una romanticheria Style Council. Una pop song da grande città, New York, Chicago, Parigi.
Non c'è solo Brian Wilson tra gli ispiratori, anche Ray Davies è della partita ed è strano che non si senta Ian Hunter visto che Tweedy recentemente ha citato più volte i Mott the Hoople. In
Nothin's ever going to, ad un certo punto, sembra che Tweedy faccia la parodia del grande storyteller inglese ed in
Shot in the arm i Kinks sono sballottati tra sinfonia e rumore. La canzone del disco più strettamente connessa a
Being There è comunque
Via Chicago. Uggiosa, fredda ed urbana
Via Chicago è finalmente il giusto luogo d'incontro tra i pruriti melodici di Tweedy e lo sferragliare rock di Wilco, che in questo brano si dibattono tra i Velvet e Neil Young disperatamente elettrico e ventoso.
Rimane da dire della titletrack, una rock-song magra dall'aria campagnola e di Elt, la cui lapsteel ricorda che tra gli eroi dell'ex Uncle Tupelo c'è anche Gram Parsons.
Summer Teeth è un album quindi contraddittorio anche nella sua omogeneità pop. Ci sono delle grandi canzoni che toccano il cuore ma ci sono anche ripetizioni, presunzioni ed un lassismo pop che alla fine lascia insoddisfatti.