WALLFLOWERS (Bringing Down the Horse)
Discografia border=Pelle

        

  Recensione del  30/01/2004
    

Sono passati quasi quattro anni da quando, in quel freddo settembre del '92, un disco sconosciuto era arrivato, senza notizie di alcun genere a precederlo, dalle nostre parti. Si trattava di un CD edito dalla Virgin America, si intitolava semplicemente «The Wallflowers» e la copertina, in bianco e nero, presentava una serie di persone, viste dal busto in giù, attorno ad un cane. Il leader di quella band era, ed è tutt'ora, Jakob Dylan, figlio di cotanto padre e quel disco fu una piacevole, anzi piacevolissima, sorpresa.
Poi il silenzio, quattro anni non sono pochi, e, finalmente, con l'inizio di quest'anno, la notizie del tanto atteso secondo disco. Poi l'Interscope lascia l'Atlantic e passano almeno tre mesi prima che i contratti vengano messi a punto e la MCA abbia la disponibilità di distribuire il prodotto. Così l'uscita scivola alla fine di maggio, ma il desiderio di sentirlo e di dirvi come è troppo forte, così, sera dopo sera, lo lasciamo crescere dentro di noi: ed il disco cresce, cresce, sino a fare le proprie radici. Jacob non ha perso lo smalto, né la voglia di cimentarsi con papà, e visto che papà latita da molto pure lui, ecco il giovanotto pronto al secondo salto.
«The wallflowers», il disco d'esordio era un lavoro intenso e corposo con quasi settanta minuti di musica quasi sempre di grande livello: «Bringing down the horse» ha quindici minuti circa di musica meno (dura 52 minuti) ma una produzione di qualità in più. Il disco è studiato ad arte e suonato come dio comanda grazie alla produzione di T Bone Burnett che ha regolato ogni virgola sino nei minimi particolari. Ed il lavoro non solo non è inferiore al tanto declamato esordio ma alla lunga, ascolto dopo ascolto, potrebbe sembrare addirittura superiore: la qualità di scrittura di Jakob è più o meno allo stesso livello, ci sono alcune grandi canzoni e qualche brano normale, ma il suono è più perfetto, è dentro alle canzoni, fa parte addirittura della metrica.
Le ballate sono quelle che riescono meglio a Dylan jr, mentre i brani più elettrici sono più comuni, ma il disco, come ben potete immaginare è costruito, per la sua quasi totalità, su canzoni d'atmosfera. La voce è più matura ed espressiva, il padre, volente o nolente, è spesso presente, e, pur senza gridare al capolavoro, ci troviamo di fronte ad un sano, onesto, godibile, gustoso, ben fatto, straordinariamente suonato, ottimamente cantato, disco di sana musica americana.
T Bone è un produttore di prima categoria, questo già lo si sapeva, ma penso che qui abbia lavorato particolarmente di fino perché ha saputo trovare suoni e colori che sono talmente parte delle canzoni da sembrare pensati all'unisono. Adam Duritz (Counting Crows) e Mike Campbell (Heartbreakers) sono tra gli ospiti più titolati.