WALLFLOWERS (The Wallflowers)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Dylan ci ha preso il cuore, ormai tanti anni fa e non si è mai sognato di restituircelo. Mi riprometto obiettività e distacco da condizionamenti, ma rabbrividisco quando, per la prima volta, ascolto la voce e le canzoni di Jakob Dylan e degli altri Wallflowers e penso, a dirla con Ibsen, che almeno talvolta le colpe dei padri possono ricadere sui figli. Terribile iatrura essere figli d'arte, poichè il gioco dei confronti è un'arma sempre puntata pronta ad annichilire e distruggere talenti e creatività anche meritevoli.
Esistono anche le patacche, i personaggi costruiti più o meno artificialmente negli studi, ma questo non è davvero il caso di Jakob, il figlio dello sciamano, di Dylan-Mida, che ha avuto il vantaggio indubbio di aver respirato la più rarefatta delle arti. Certo, suo padre gli avrà pur mostrato i luoghi misteriosi dove si annida la sua magica ed imprendibile arte. Ma come un druido saggio, indicato il sancta sanctorum che frotte d'artisti stanno ancora cercando, deve essersi allontanato in silenzio, lasciando Jakob solo con le proprie responsabilità. Il novizio ha filtrato con lucidità quell'arcatico e iniziatico linguaggio alla luce della propria sensibilità, senza concedersi altri abbuoni su tutti gli altri che figli di Dylan non sono, se non idealmente adottivi. La sua voce ruvida, drammatica, spigolosa e matura, personalissima, il suo comporre originale, rivelano già all'esordio stoffa di leader.
Taluni arrangiamenti, certe scale armoniche discendenti, la pasta nobile delle composizioni svelano a chiare linee quale sia il gruppo sanguigno. Ma la vena singolare di Jakob sa andare oltre la rabbia antica, oltre l'épos di Bringing it all back home e approda luminosa in un pianeta vergine. Supera con classe sorprendente un turbine di esperienze musicali, anche indirette, che immagino uniche al mondo, e plasma la materia artistica con intelligenza, modestie e lampi di genio che seminano allarme e scompiglio. Alcune delle sue canzoni sono già come una sonda che scandaglia gli eccessi dell'anima.
Grande la sua band che possiede un suono pieno, rotondo ed amalgamato: limpida scuola rock e folk-rock. Si nota un'ispirazione fresca, convincente, con non infrequenti escursioni in lancinanti ballate elettriche. Barry Maguire al basso, Peter Yanovitz alla batteria, Rami Jaffee piano e hammond, dominatore incontrastato lungo una traiettoria esaltante che conduce a Koooper, Tobi Miller chitarra, felice di rock variopinto e retrò, il collaboratore Mark Ramos Nishita, sono con Jakob, voce principale, chitarra e piano, gli eroi di questa inaspettata saga.