A long way home è l'undicesimo album di
Dwight Yoakam, ed è un ritorno al classico hard-driving-honky-tonk che è il suo marchio di fabbrica. Anzi è dal tempo di
Gone e
This Time che il nostro non fa un disco composto soltanto da canzoni sue infatti sia il disco dal vivo che
Under the covers ed il recente
Come on christmas erano costellati di canzoni di altri autori (
Under the covers era addirittura un disco di sole covers). E, come è nella sua tradizione, Dwight fa ancora un signor disco.
Country puro, honky tonk grintoso ed elettrico (hard driving), con le classiche radici, da Buck Owens a Merle Travis, da Lefty Frizzell a Ralph Stanley, da Hank Williams a Elvis Presley, evidenziate da un suono moderno e tradizionale al tempo stesso. Dwight è legato a Nashville, ma non vive a Nashville, usa il mercato country ma è al di fuori della mischia ed i suoi dischi non sono mai accondiscendenti o risaputi, non sono neanche tanto trasmessi dalle radio di settore, che preferiscono il becero easy listening al vero country. La produzione è nelle mani sicure dell'amico
Pete Anderson, mentre la band che asseconda Yoakam è composta dallo stesso Anderson alla solista, quindi
Skip Edwards, tastiere,
Taras Prodaniuk, basso,
Jim Christie, batteria: la solita gente fidata.
Aggiunti in sessione:
Scott Joss, Marty Rifkin, Dean Parks, Charles Domanico, Ralph Stanley (proprio il veterano banjoista bluegrass) e le voci di
Jim Lauderdale, Beth Anderson, Bonnie Bramlett, Carl Jackson. Il disco come nel caso di
Gone, This time, Guitars Cadillacs etc. Buenas Noches from a Lonely room, Hillbilly De Luxe, If there was a way è una collezione di brani honky tonk, nel più classico degli stili, molto vicino al suono dei cinquanta. Dwight, l'ho già scritto molte volte, ha la voce adatta per questo tipo di musica e la strumentazione di cui si circonda è semplicemente perfetta. Recentemente il nostro ha fatto l'attore, ed è apparso nel pluripremiato
Sling Blade (di
Billy Bob Thornton) e nel recente
The newton boys (di Richard Linklater, un western moderno, che si svolge negli anni venti e che parla di una band di fuorilegge veramente esistita in Texas): ma questo non lo ha allontanato dalla sua reale carriera e, nel momento in cui non era impegnato con il film, ha cominciato a scrivere, nelle camere degli hotel, buona parte delle canzoni di questo disco.
Il resto lo ha composto a casa sua, a Los Angeles: questo è infatti il primo disco composto totalmente da Yoakam, senza alcun collaboratore.
Same Fool apre le danze: la chitarra di Anderson dice la sua e la voce, inimitabile, comincia a cantare in perfetto honky tonk style, mentre Marty Rifkin fa un eccellente assolo di steel guitar, sullo stile del grande Ralph Mooney.
Armonia e cura negli arrangiamenti: il CD parte già col piede giusto.
The curse sembra un brano di
Johnny Cash: stesso boom-chicka-boom, ma la voce non è così profonda, ma più squillante. Stessa chitarra monolitica, ma con un gioco di voci quasi gioioso: si beve d'un fiato.
Things change è il singolo apripista ed una canzone dolce amara che parla di una relazione fallimentare: molto romantica, ha un andamento fluido ed una melodia che cattura immediatamente.
Yet to succeed è in puro Bakersfield style: cioè alla Buck Owens.
Country strascicato, cantato con voce distesa, si avvale di un ritornello, molto intenso, che piace subito (in cui fa bella figura anche una sezione d'archi).
I would put it past to me è un country rock mosso, con la steel che danza e la batteria che si fa sentire.
These arms è un classico shuffle, ritmato e coinciso, cantato con voce distesa, da sentire mentre si guida, magari da Dallas a San Antonio, possibilmente di notte. Il piano, in perfetto stile honky tonk, fa tanto vecchio West.
That's okay e suonata con lo stile chitarristico di Merle Travis ed ha un suo speed: veloce e pimpante, si distingue per la bella melodia ed il cantato nitido, sopra le righe.
Only what you more è un hillbilly boogie scatenato, cantato a due voci, dal tempo acceso che fa muovere d'istinto il piedino.
I'll just take these è una ballata spezzacuori di grande impatto: violino e steel guitar abbelliscono la parte centrale, e danno grande dignità al brano.
A long way home, con un dobro stellare, è un'altra honky tonk song brillante: l'uso del piano verticale (Skip Edwards) ed i continui fraseggi di dobro (Marty Rifkin), rendono la canzone ancora più appetibile.
Listen è mossa, molto anni cinquanta: ci sono analogie con l'Elvis Presley secondo periodo in questa veloce ballata, dal tempo mosso, che gioca tutto sulla voce e sulla chitarra, mai protagonista come in questo brano.
Traveler's lantern, in cui appare come ospite il grande Ralph Stanley (il suo banjo è riconoscibilissimo), è un gospel country dall'atmosfera struggente. Dwight canta benissimo, Stanley è una macchina, e la canzone vive di vita propria, grazie ad una perfetta armonia tra voci e strumenti. Chiude il disco (più di quaranta minuti)
Maybe you like it, maybe you don't: inizio parlato ed un voluto omaggio al King, Elvis Presley, con la ripresa di
Only you want more, in versione riveduta e corretta. «C'è un po' di Elvis in tutti noi» ed il binomio Yoakam-Anderson fa di tutto per celebrare nel miglior modo possibile il grande cantante. Ancora un bel disco, mr.
Yoakam.