DWIGHT YOAKAM (This Time)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Dwight Yoakam è uno dei nostri eroi e, dal suo esordio a metà anni ottanta, ha continuato a macinare dischi, ma con cadenze da rocker più che da country star. Infatti, pur facendo musica country ed agendo in quel settore, Dwight non pubblica dischi con la regolarità dei musicisti country (un disco ogni anno, magari anche due), ma centellina le sue incisioni lasciando passare parecchio tempo tra un lavoro e l'altro: antologie a parte, ha fatto solo cinque albums in nove anni di carriera.
«This time» arriva tre anni dopo «If there was a way», ed è stato preceduto solo di qualche mese dalla scintillante antologia «La croix d'amour» (che aveva 6 brani nuovi e sei vecchi), ed è un lavoro sostanzialmente diverso rispetto ai due che lo hanno preceduto. Il suono è più tradizionale, nello spirito di Buck Owens e Lefty Frizzell, e la strumentazione adeguata al caso: ci sono echi degli anni cinquanta (l'iniziale «Pocket of a clown», con quel coretto femminile demodé), riappare il violino, usato in modo molto evocativo, c'è grande uso di steel guitar e la voce del nostro, magnetica più del solito, sparge il suo carisma su una manciata di canzoni solide e ben strutturate.
Dwight non ha sfondato in Usa come Garth Brooks, non gli spiacerebbe certamente arrivare a quei livelli, ma, nel medesimo tempo, non vuole vendersi, così «This time» mostra una attitudine meno moderna, rispetto a certi dischi del passato, più in tema con la tradizione country, previlegiando però sempre la qualità. «This time» è un signor disco, non ha sbavature: è suonato come dio comanda, ha ritmo e feeling, e, quel che più conta, una manciata di canzoni equilibrate e di buona levatura.
Il ragazzo di Pickeville, Kentucky, cresciuto musicalmente a Los Angeles tra Blasters e Los Lobos, non ha dimenticato la lezione (privilegia la qualità non la quantità) ed il suo nuovo lavoro ne è ulteriore testimone: Dwight è costantemente diviso tra le tentazioni del rock ed il lamento country più classico.