DWIGHT YOAKAM (Dwight Live)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Dwight Yoakam non è certo uno sconosciuto su queste pagine, gli abbiamo anche dedicato un paio di copertine in passato, e questo disco dal vivo, una sorta di summa della propria carriera è certamente il benvenuto in questo momento. Yoakam è un cantante country, ma non come piace a Nashville, lui a Nashville non ci va mai, vive in California, è un country singer controcorrente: infatti usa violino e steel guitar, ma il suo beat di base è rock ed i suoi dischi difficilmente vengono trasmessi dalle stazioni radio di settore.
Dwight è un vero e proprio fuorilegge country, non come Waylon e Willie che si professavano tali nei settanta ma che poi, a conti fatti, erano degli integrati, lui sta proprio al di fuori dell'industria nashvilliana, fa quello che gli pare e va in giro con il suo spettacolo, una sorta di revival anni cinquanta che paga il tributo ai suoi eroi di sempre: Buck Owens, Hank Williams, Elvis Presley e Merle Haggard. Assieme al produttore (ma anche chitarrista ed amico personale) Pete Anderson ha creato un sound vibrante ed elettrico che è diventato, nel giro di qualche anno, il suo marchio di fabbrica: i suoi dischi, al contrario di gran parte dei dischi country, superano i cinquanta minuti e questo live supera addirittura i settanta!
Il nostro country rebel ha deciso per il disco dal vivo dopo avere fatto un tour mondiale lo scorso anno, tour che ha toccato anche l'Italia (la breve, ma splendida esibizione di Sonoria '94) e lo ha inciso a San Francisco alla fine del '94. Sono con lui sul palco Pete Anderson alla solista, Skip Edwards (tastiere), Taras Prodaniuk (basso), Jim Christie (batteria), Scott Joss (violino) e, come back up vocalist, Tommy Funderburk e Beth Anderson.
Ed il disco funziona, e molto. Diciassette brani, un suono teso come una lama con steel e violino che danzano a perdifiato con le chitarre e la frenetica sezione ritmica, ed il nostro che ripassa il meglio del suo repertorio in una serata particolarmente brillante. Inizia con «Little sister» (Elvis Presley) e chiude in modo trionfale sempre celebrando il re del rock'n'roll, con una lucida e grintosa versione di «Suspicious minds», una delle canzoni più belle dei sessanta. In mezzo ci sono classici passati e presenti, da «Streets of Bakersfield (vecchio hit di Buck Owens riportato al successo proprio da Dwight) a «Little ways», tiratissima, da «This time», a «A thousand miles from nowhere» (splendida) riprese dal recente (in America è disco di platino) «This time». Da «Two doors down» alla autobiografica «Miner's prayer» da «Long white cadillac» a «Fast as you», da «Please, please, baby» all'inedita (è un brano di Bill Monroe) «Rocky road blues».
Un cenno di merito per «Nothing's changed here» e «Lonesome roads», due delle country songs più belle di questi ultimi anni. Il concerto è caldo, con il pubblico sempre pronto ad applaudire mentre la band si agita in un vortice di suoni continuamente scanditi da un ritmo molto alto e dalla voce da honky tonker del leader. Anderson se la cava egregiamente alla solista mentre gli altri fanno la loro parte in modo decisamente professionale. La scelta del repertorio è intelligente e svaria su tutti i dischi del nostro ribelle, e riesce a creare appieno l'atmosfera calda e sovraeccitata di un concerto di hard country. Non ci sono concessioni allo zucchero prodotto nella capitale del Tennessee, ma solo musica vibrante e coinvolgente, che rende omaggio ai grandi maestri che, da sempre, Dwight ha venerato con molta ossequienza.