Era da tempo che
Townes Van Zandt, texano silente e misterioso, non faceva un disco di questo spessore. Era da tempo che non ci regalava un album nuovo (ndr: l'ultimo vero disco, quindi non dal vivo, è «
At my window» del 1987) e così riuscito. «
No deeper blue» è triste e profondo, introverso e solido, ha un suono corposo, grazie anche alla produzione esperta di
Phillip Donnelly, e le canzoni, molto equilibrate, sono di quelle che si ricordano.
Il suo country folk tinto di blues ha in questo lavoro la definitiva consacrazione, tramite una serie di composizioni talvolta commoventi, altre volte dure e spigolose: la voce è più presente ed il suono, completamente nelle mani di una vibrante house band (oltre alla chitarra di Donnelly, la steel di Percy Robinson, il basso di Sven Buick, la batteria di Robbie Brennan, il piano di Brenad Hayes e strumenti vari nelle mani di Declan Masterson, Paul Kelly, Mairtin O' Connor, Bredan Reagan, Adrian Foley, Brian Meehan, irlandesi, come il produttore e lo studio che ha ospitato le registrazioni).
Quindi un suono nuovo per Townes, meno suadente, meno svogliato, che ha dato impulso sia alla sua vocalità che alla struttura stessa delle sue canzoni: la tipica ballad introspettiva acquista in forza e carattere e «
No deeper blue» è un disco vigoroso, qualità che spesso in passato era mancata alle prove discografiche del nostro. Le canzoni, poi, sono piacevoli e profonde: c'è sempre quel velo di tristezza, quel senso di solitudine, ma c'è anche un sottile filo di speranza, una voglia di vita e di liberazione dai fardelli del passato che prima non trovava una via d'uscita.