JOHN TRUDELL (Johnny Damas and Me)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Ricordate il 1992, i 500 anni della «scoperta dell'Amerika?» Io si, uscì il primo album su scala internazionale di John Trudell. Jackson Browne mi aveva anticipato che si trattava di un grande disco: «John è uno che può entrare in studio senza la minima idea di quello che deve fare, in cinque minuti ha una poesia, una canzone, crea una situazione». Vero, verissimo, come finalmente possiamo ascoltare nel suo secondo album per la benemerita Rykodisc, Johnny Damas and me. L'appuntamento è per il 28 febbraio, ascoltate come Trudell ha portato a compimento la promessa di Grafitti man.
La promessa di tirare la fila di una vita tormentata che il quarantottenne Sioux dopo un disco che raccoglieva i pezzi migliori di un repertorio avulso dall'industria discografica. La coda più straordinaria di questo artista è la capacità di congiurare attorno a cliché risaputi un'intensa e impalpabile atmosfera. Tensione, amore, dolore, qualcosa che scende dritto verso il centro dell'universo nervoso di qualsiasi ascoltatore. Come è giusto lui usa la sua tradizione per esternare il rock'n'roll come via. Così è «Shadow over sisterland», qualcosa che è a metà tra i Rolling Stones e una cerimonia indiana, rap-poesia sui muri sporchi di quotidianità. Nei crediti del disco Trudell è alla «Poesia».
Mark Shark, Ricky Eckstein, Quiltman, Gary Ray e Doug Lacy sono i responsabili della parte musicale e questa varietà ha indubbiamente portato solo vantaggi alla resa del disco. Questo si nota soprattutto nella seconda parte del disco, dove alla presa diretta di «Rant'n'roll» (già sull'album benefit Born to choose) in apertura di disco o di «Baby doll blues» (già su un vecchio tape) si oppongono in perfetta congiunzione rock le tinte buie e inquietanti di «Johnny Damas and me», l'apertura solare di «Across my heart», la forza di «All there is to it», che chiude eiaculando un urlo di battaglia.
Trudell in effetti riesce a dimostrarci un difficile teorema artistico, secondo il quale è difficile rifarsi a certi rock-archetipi senza cadere nel già ascoltato: la sua voce, la maniera in cui emette certe parole («I ride the gentle way/Fire to my heart») senza né cantare né fare Lou Reed, la voglia di farci sentire un disco invece di un problema, evitando l'imbarazzo del giudizi. Questo grazie alle canzoni dalle tinte drammatiche ma dai contenuti tenui, come «Something about you», dove Billy Watts canta con Trudell in refrain. In «That love» c'è l'intervento di Jackson Browne che canta alcuni versi in una canzone scritta da un sarto a misura di Jackson.