SOUTHSIDE JOHNNY & THE ASBURY JUKES (Spittin' Fire)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Johnny Lyons è, da tempo, senza contratto in Usa e sbarca il lunario facendo dei piccoli tour, sia in America che nella vecchia Europa. Alla fine di ottobre dello scorso anno ha fatto una serie di concerti al Chesterfield Cafè di Parigi, e lo ha fatto con una band acustica, con una versione molto particolare dei suoi gloriosi Asbury Jukes: Bobby Bandiera, Rusty Cloud e David Hayes (vecchia conoscenza per il cultori rock, è stato anche bassista di Van Morrison). Era la prima volta che Johnny e la sua congrega si esibivano acustici (per modo di dire, in quanto la strumentazione prevede largo uso di pianoforte, basso, armonica e chitarre) ed il risultato è di buon livello.
Senza gridare al miracolo (forse era meglio un album singolo) Johnny e company ci danno dentro e rispolverano il proprio repertorio, rifacendo i brani con una struttura completamente differente: il pianoforte (Rusty Cloud) diventa protagonista, Bandiera lavora bene la chitarra, mentre Hayes è un bassista di tutto rispetto. Johnny ha sempre una bella voce, molto espressiva e, specialmente nei brani più noti, riesce a trovare una caratterizzazione molto incisiva. Il primo CD è superiore al secondo, è più continuo, grazie anche alle prime due canzoni «It's been a long time» e «Talk to me», quindi alla versione molto personale di «Fever», alla splendida «We'll make ther world stand still» ed ad una «Wild horses» (Stones, una delle più belle ballate della storia del rock) da antologia.
Il disco scorre comunque in modo gradevolissimo, con sonorità piacevoli, un pianoforte sempre cristallino ed un gioco di chitarre molto ben strutturato. Nei suoi cento minuti di musica «Spittin' fire» ci propone ancora «Fade away» (che, come «The fever» e «Talk to me», è un brano del Boss), molto bella, quindi una lunghissima «Hoochie coochie man» (proprio il brano di Willie Dixon, che nella versione acquista in profondità), «It's all over now» (di Bobby Womack, resa celebre dagli Stones), la bella «All night long» e la conclusiva «I don't want to go home», che è un po' l'inno dei Jukes. Un buon live, con monumenti di grande intensità e qualche piccola lungaggine, che comunque conferma Johnny ottimo performer e ci fa ben sperare per il suo prossimo lavoro di studio.