Penso che la maggior parte di Voi sappia chi sono i
Son Volt. Sono la band di
Jay Farrar, nata dallo scioglimento dei grandi
Uncle Tupelo, mentre il resto della truppa se ne è andato sotto il nome di
Wilco, con Jeff Tweedy come leader. Farrar, che ha tenuto con sé Mike Heidorn (già con lui nei Tupelos), era la voce più caratteristica della vecchia band, quella che aveva la propensione alle ballate languide, alle sonorità younghiane.
Era lecito attendersi la prova più confortante, invece Tweedy coi suoi Wilco lo ha superato per inventiva e creatività: quando ho sentito «
Trace», il primo album dei
Son Volt, non ho potuto celare una certa delusione. Infatti Farrar, con l'eccezione di qualche canzone, non ha apportato alcunché di nuovo, al contrario di quanto hanno fatto i Wilco, ed, in alcune canzoni, è risultato addirittura tedioso.
Ora, a quasi due anni di distanza da quel disco (settembre '95), non cambio certamente idea, ma capisco perché l'operazione «
Trace» non è riuscita più di tanto: i
Son Volt hanno registrato il disco in studio prima di essere una band vera e propria, infatti hanno cominciato a suonare dal vivo dopo le sedute in studio.
E la differenza, ascoltando «
Straightaways», è macroscopica. Il secondo album è decisamente più completo, ha più suono, è maggiormente personalizzato: Jay mantiene il suo timbro vocale unico, ma circonda la sua voce con una strumentazione più ricca, e, fatto più importante, compone meglio. Il disco, già ad un primo ascolto, è decisamente superiore al primo, anzi le canzoni sono tutte su un ottimo standard, fatto che in «
Trace» si notava solo in «
Windfall», «
Drown» e «
Tear stained eye».
Il suono è ancora più country, con la steel guitar in grande evidenza, le chitarre arpeggiate ad arte e la ritmica sempre in perfetto equilibrio: non ci sono stonature questa volta, non ci sono ripetizioni, la noia è finalmente bandita da questi solchi. C'è addirittura una canzone di «
March 16-20, 1992» degli
Uncle Tupelo scritta e corretta: si tratta di «
Been get free» (che si rifà a «
Lili Schull»), in cui ora la prospettiva è dalla parte di lei. Disco intenso, compiuto e profondo, «
Straightaways» si sente tutto d'un fiato: le sue atmosfere rurali, la sua pace inferiore fuoriescono decisamente dai solchi.
È una rivisitazione delle tradizioni secondo un'ottica particolare, senza il clamore di una band come i Backsliders, senza le invenzioni dei Say ZuZu: Farrar, che ormai dista anni luce (in senso di materia esposta) dal suono dei Wilco (sono due band quasi agli antipodi), ha una sua visualizzazione della musica ed un modo di esporla chiaramente personale. La produzione è sempre di
Brian Paulson che, questa volta, non ha commesso gli errori del disco precedente ed ha guidato la band con più polso, mentre il resto dei Volt, oltre a Farrar ed Heidorn, comprende i già noti Jim e Dave Boquist.