TODD SNIDER (Viva Satellite)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Terzo disco. La prova forse più difficile, dopo un primo album folgorante, Songs for the daily planet, ed un secondo, sempre interessante, ma interlocutorio, Step right up. Todd Snider non è uno qualunque, né un personaggio facilmente capibile. Le sue radici sono profonde, la sua conoscenza della musica abbraccia in toto la musica d'autore americana, da Woody Guthrie a Steve Miller, da Jerry Jeff Walker a Bob Dylan, per finire con Blasters, Rolling Stones e Tom Petty.
Una piccola enciclopedia ambulante che ha assorbito suoni e vibrazioni dell'ultimo ventennio: gli piace il folk, ma il rock è la sua vita, non disdegna country blues e gospel, ma Tom Petty rimane il suo padrino. Todd è un musicista in continua evoluzione, in senso positivo e negativo, e non si ferma certo sui propri allori. Viva Satellite è stato pensato a lungo, ha richiesto diverse sedute di registrazione ed il risultato è un sapido e solido album rock, ben distante dalle ballate acustiche di Songs for the daily planet.
Ma questo cambio di stile non depone certamente a sfavore dell'album in quanto il nostro ha dato più peso specifico alla sua musica, senza però abbandonare mai le proprie radici. Ballate elettriche di grande spessore, canzoni forti, piene di vigore, cantate bene e suonate con estrema durezza. Questo è uno di quei dischi in cui la dicitura play it loud non è fuori posto: suonalo forte, sembra dirci Todd dalle pieghe del libretto. Ed io ho eseguito alla lettera le istruzioni: e Viva satellite si dimostra album di buona qualità, che si gusta dalla prima all'ultima nota, anche se non è scevro da difetti, che però risultano dei peccati veniali in capo ad un'ora di musica.
Se Dylan e Woody erano le influenze dell'esordio, se Jerry, Jeff e Billy Joe Shaver avevano condizionato parzialmente il secondo, Viva Satellite è più vicino alla mentalità di Tom Petty e dei suoi Heartbeakers, al suono vigoroso degli Stones, alle idee di Steve Miller. Disco sano quindi, ruspante, vibrante, teso come una lama, con solo un paio di oasi pacificanti, ben distanti comunque dalle ballate acustiche dell'esordio. Cambio di rotta? Mi sembra ovvio. Todd è in continua evoluzione, fatto che può crare sorprese, sia positive che negative. D'altronde Snider è un portavoce di quel classico rock chitarristico americano, sempre più al di fuori dalle mode e sempre meno presente sul mercato.
Anche per questo merita credito ed attenzione. Apre Rocket fuel: una sventagliata di chitarre, un suono figlio dei Byrds e, soprattutto, di Tom Petty. Si tratta di una ballata elettrica di sapore forte, con un bel motivo quasi tradizionale in cui la durezza del suono dà un connotato particolare al tutto. Il brano, possente nella sua parte strumentale, è dotato di un riff chitarristico di grande presa e fa capire di che pasta è fatto questo terzo lavoro. Yesterdays and used to be's: altro inizio al fulmicotone, tra rock e radici, sempre con Petty in testa, ed una bella canzone a fare il resto. Le chitarre sferzano l'aria, la ritmica picchia duro e Snider mostra che fare il rocker è la sua vera vocazione. Solo due canzoni, ma già ci rendiamo conto che il musicista ha cambiato il suono e che il disco, molto fruibile, scorre sui binari in disuso, ma sempre pronti alla bisogna, del più sano rock a stelle e strisce.
Poi è la volta di The Joker: si tratta proprio del famoso brano della Steve Miller Band, riveduto e corretto con una versione quasi garage. Sonorità sporche, ritmica dura, chitarre aperte al massimo: il famosissimo motivo viene riletto con una forza diversa, con una versione molto più indurita e coraggiosa: il risultato è una cover originale, ma si lascia ascoltare. Vi prego, suonatela al massimo volume: play it very very loud!! I am too è un rock denso e fluido, introdotto da una batteria versione acciaio e da un assolo di Fender vibrante, non è particolarmente originale, ma è sana e rigogliosa. I am two è una sorta di appendice solo strumentale del brano precedente: con elementi garage e psichedelici messi assieme ad una sempre più robusta dose di rock. Out all night, sempre molto elettrica, è meno originale delle canzoni che la precedono (è fin troppo Petty-iana) e serve solo come passaggio alla seguente, Satisfaction guaranteed.
Più di sei minuti veramente tosti, tra hard blues e folk bruciato dall'elettricità, Satisfaction guaranteed è una tesi di laurea, un salto di qualità creativo che lascia prevedere ulteriori sviluppi nella musica del nostro. Inizio psichedelico, con le chitarre che si sfilacciano, una voce distesa, una canzone che si apre lentamente, ma che, di momento in momento, risulta sorprendente ed imprevedibile. Arrabbiata e triste, profonda e difficile da categorizzare. Can't complain è un'oasi quasi acustica, un retaggio d'inizio carriera, una ballata densa e profonda, che rivela le radici tradizionali dell'autore: sembra fuori uscita da un vecchio disco di Woody, con Dylan che strizza l'occhio compiaciuto. Ma è solo una breve pausa, ed ecco Positively negative, in cui le chitarre, stile jingle jangle, tornano protagoniste e Tom Petty diventa di nuovo il centro motore della scrittura di Todd.
Once he finds us è un folk rock pregnante, con forti colorature gospel, intenso e trascinante: una di quelle canzoni che fanno capire l'evoluzione del personaggio. Godsend è un altro brano di effetto, scritto con forza e con il senso del rock: si tratta di una ballata elettrica piacevole che entra di primo acchito e che si ascolta e riascolta a lungo. Meno interessante Comin' down, sempre dura, ma piuttosto risaputa. Never let me down è un lento intenso, con più voci che si stagliano sopra una muraglia di chitarre: niente di nuovo, ma pur sempre un buon rock. Chiude il disco la bella, anche questa oltre i sei minuti, Doublewide blues, un tipico racconto che mischia tradizione e irregolarità, scritto in modo personale, come solo Snider sa fare.
Degna conclusione di un disco a tinte forti dove il rock regna sovrano, dove la chitarra è regina. Doublewide blues è un racconto arruffato, con una chitarra twangy style dietro la voce, un piano verticale a tessere la melodia ed un tempo lento e coinvolgente a creare il ritmo del racconto: affascinante e notturna, cantata con il microfono in una mano ed un bel bicchiere di whiskey nell'altra, segna la consacrazione dell'autore. Coraggioso e controcorrente, Todd Snider non è uno che va per il sottile: la musica è la sua vita, la vera musica è il suo credo.