Texani, sono un trio, hanno esordito nel '92. «
All'inizio suonavamo solo per un pò di birra, nessuno di noi pensava di farlo in modo professionale», così ricorda i primi giorni della band il leader
Brent Best. Ma poi, sia per la risposta del pubblico che per una presa di coscienza come musicisti, i tre hanno cominciato a fare sul serio, ed hanno inciso un demo di sei canzoni. Di lì a poco la locale Doollittle li ha messi sotto contratto e, alla fine del '95, è uscito il loro primo vero album: «
Crow pot pie».
Di quel disco vi abbiamo già parlato su queste pagine ed ora abbiamo finalmente tra le mani il secondo lavoro.
Brian Lane, Tom Harper e Brent Best fanno sul serio e «
Barrel chested» si presenta come un disco molto interessante. Il suono è quello del primo album, grezzo, verace e vigoroso, una via dimezzo tra X ed Uncle Tupelo, anche se Best odia il paragone con l'ex band di Farrar e Tweedy; allora tiriamo in ballo i primi
Jason & The Scorchers e cerchiamo di farvi capire che questi ragazzi mischiano, con sangue e sudore, country e punk, radici e rock e lo fanno con veemenza.
Le canzoni sono potenti, chitarristiche, solide, ma non mancano le ballate: comunque se andate ad ascoltarvi la furia di «
Haze of drink» non rimarrete certamente delusi. Dal vivo deve essere una bomba. Ma Best non è stupido e non fa musica a senso unico: «
One rung» sembra uscita da un vecchio disco dei Tupelos, ballata discorsiva con una steel dietro al tappeto acustico, tanto per smorzare i toni. «
Barrel chested» è più equilibrato di «
Crow pot pie», ha brani rock e ballate in misura più equa, è duro, ma mai oltre la soglia del lecito, si ascolta tutto d'un fiato, grazie anche all'inserimento accentuato dell'armonica a bocca, che da un tocco folk rock a certe canzoni. Anche le canzoni mi sembrano più solide, con maggiore attenzione alla linea melodica ed alla costruzione armonica: la sola «
One strung» sta a testificare la crescita di Best autore.
Ma non è l'unica interessante. «
Barrel chested», la canzone, ci butta subito addosso una chitarra poderosa e, roccando di brutto ci permette di entrare in un disco solido e grintoso come pochi sentiti quest'anno, «
Lame» è country punk travolgente, «
Engine Joe» sembra, per contro, un vecchio brano country rurale riadattato. Molto bella «
Front porch» che ha il passo delle cose migliori degli Uncle Tupelo, come pure la lunga «
I'll be damned», una di quelle ballate che si ricordano a lungo.
Stemperata su un bell'accordo di chitarra, introdotta da un'armonica fluida, è la tipica canzone che si ascolta con immenso gusto, magari guidando su una highway texana (consiglio Dallas-Austin, strada piatta e lunga, in mezzo alla campagna a perdita d'occhio, perfetta per questa canzone). Anche la folk rock «
Billy Pritchard» non è da meno, come pura la scintillante «
Little drunk fists», un'oasi acustica, o la lunga, country oriented «
Get gone gain». Un gran bel disco, una boccata d'aria fresca, che scuote nel profondo, ma che non scende mai a compromessi: dal country al rock, ma sempre con grande voglia. Cinquanta minuti sani e corroboranti.