SLOBBERBONE (Barrel Chested)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Texani, sono un trio, hanno esordito nel '92. «All'inizio suonavamo solo per un pò di birra, nessuno di noi pensava di farlo in modo professionale», così ricorda i primi giorni della band il leader Brent Best. Ma poi, sia per la risposta del pubblico che per una presa di coscienza come musicisti, i tre hanno cominciato a fare sul serio, ed hanno inciso un demo di sei canzoni. Di lì a poco la locale Doollittle li ha messi sotto contratto e, alla fine del '95, è uscito il loro primo vero album: «Crow pot pie».
Di quel disco vi abbiamo già parlato su queste pagine ed ora abbiamo finalmente tra le mani il secondo lavoro. Brian Lane, Tom Harper e Brent Best fanno sul serio e «Barrel chested» si presenta come un disco molto interessante. Il suono è quello del primo album, grezzo, verace e vigoroso, una via dimezzo tra X ed Uncle Tupelo, anche se Best odia il paragone con l'ex band di Farrar e Tweedy; allora tiriamo in ballo i primi Jason & The Scorchers e cerchiamo di farvi capire che questi ragazzi mischiano, con sangue e sudore, country e punk, radici e rock e lo fanno con veemenza.
Le canzoni sono potenti, chitarristiche, solide, ma non mancano le ballate: comunque se andate ad ascoltarvi la furia di «Haze of drink» non rimarrete certamente delusi. Dal vivo deve essere una bomba. Ma Best non è stupido e non fa musica a senso unico: «One rung» sembra uscita da un vecchio disco dei Tupelos, ballata discorsiva con una steel dietro al tappeto acustico, tanto per smorzare i toni. «Barrel chested» è più equilibrato di «Crow pot pie», ha brani rock e ballate in misura più equa, è duro, ma mai oltre la soglia del lecito, si ascolta tutto d'un fiato, grazie anche all'inserimento accentuato dell'armonica a bocca, che da un tocco folk rock a certe canzoni. Anche le canzoni mi sembrano più solide, con maggiore attenzione alla linea melodica ed alla costruzione armonica: la sola «One strung» sta a testificare la crescita di Best autore.
Ma non è l'unica interessante. «Barrel chested», la canzone, ci butta subito addosso una chitarra poderosa e, roccando di brutto ci permette di entrare in un disco solido e grintoso come pochi sentiti quest'anno, «Lame» è country punk travolgente, «Engine Joe» sembra, per contro, un vecchio brano country rurale riadattato. Molto bella «Front porch» che ha il passo delle cose migliori degli Uncle Tupelo, come pure la lunga «I'll be damned», una di quelle ballate che si ricordano a lungo.
Stemperata su un bell'accordo di chitarra, introdotta da un'armonica fluida, è la tipica canzone che si ascolta con immenso gusto, magari guidando su una highway texana (consiglio Dallas-Austin, strada piatta e lunga, in mezzo alla campagna a perdita d'occhio, perfetta per questa canzone). Anche la folk rock «Billy Pritchard» non è da meno, come pura la scintillante «Little drunk fists», un'oasi acustica, o la lunga, country oriented «Get gone gain». Un gran bel disco, una boccata d'aria fresca, che scuote nel profondo, ma che non scende mai a compromessi: dal country al rock, ma sempre con grande voglia. Cinquanta minuti sani e corroboranti.