SLOBBERBONE (Crow Pot Pie)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Originari di Denton, sita a nord di Dallas, Texas, gli Slobberbone sono un caso a parte in quella zona. La scena di Dallas è dominata da band alternative, trash e funk, come Tripping Daisy, Toadies e Brutal Juice, e un gruppo come quello di Brent Best fatica non poco a farsi largo. Infatti gli Slobberbone sono un pò' delle mosche bianche in quel luogo: hanno un sound country tradizionale mischiato al rock'n'roll, ma suonato con l'entusiasmo del punk. Brant Best ha formato la band circa quattro anni fa, assieme a Lee Pearson (che poi ha lasciato) ed ha costruito il suo quintetto aggiungendo via via Brain Lane e Tony Harper (basso e batteria), Mike Hill (chitarra con forti influenze southern: leggi Allman) e Scott Danbom (violino ed organo).
Hanno iniziato a suonare nelle birrerie e si sono fatti una gavetta dura come il marmo: suonavano più di trecento concerti l'anno, suonavano dovunque, anche nelle feste di paese, ma si sono creati un suono, prima, ed un seguito, poi. Nel '95 hanno pubblicato una prima versione di «Crow pot pie», solo sette canzoni, una versione low-fi prodotta da Sam McCall dei Brutal Juice e hanno cominciato ad uscire dall'anonimato. Poi hanno firmato per la Doolittle ed hanno riinciso le sette canzoni del mini album aggiungendone altre quattro, ampliandone alcune, dandosi un suono decisamente più maturo, grazie alla produzione adulta di Jeff Cole.
Le influenze di Brent Best (chitarra, voce ed armonica, oltre che autore di tutte le musiche) sono molteplici: Brent è cresciuto a Lucas, minuscola cittadina texana, con la musica di Willie Nelson e Waylon Jennings, ma la sua vera formazione è giunta verso la seconda parte degli anni ottanta coi R.E.M., quindi Long Ryders, Jason & The Scorchers e Rave-Ups: ha penetrato il roots rock nelle sue forme originarie ed ha cominciato a perfezionare un suono proprio. E gli Slobberbone suonano come country outlaws, ma fanno del rock con Bad Company e Lynyrd Skynyrd nel sangue e graffiano duro, come una vera band punk.
Una miscela esplosiva dunque, priva di filtri, naturale e sana. «Crow pot pie» è un bel disco, e passa con disinvoltura dalla ballata roots al brano punk, dalla jam di stile sudista alla composizione acustica: si sente tutto d'un fiato e, statene sicuri, non solo non delude, ma entusiasma.
I due brani cardine sono «I can tell your love is warning», inzio younghiano con armonica e tema melodico lento, voce che entra secca e chitarre che le stanno dietro, e la canzone che si sviluppa, più di sei minuti, con forza; «16 days»: altro inizio lento con la chitarra a condurre, poi la voce e la ritmica, ma il tempo rimane rilassato, poi il suono si fa più pressante, la chitarra prende decisamente la guida e la melodia si sviluppa attraverso continui assoli, ricordando le magiche note dei fratelli Allman e le lunghe cavalcate chitarristiche del grande canadese.
Già questi due brani valgono il disco. Ma poi abbiamo l'acustica «Drink you in the river», con l'armonica in evidenza, il roots rock di «Sober song», un brano country venato di punk che richiama gli Uncle Tupelo, la dura «Whisky glass eye», la vigorosa «No man amongst men», e via di questo passo.