CALVIN RUSSELL (Rebel Radio)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  31/01/2004
    

Il progressivo decadimento di Calvin Russell, iniziato alcuni anni fa, continua con questo nuovo disco di studio dove il nostro texano mostra un suono molle e ripetitivo. E dire che Calvin aveva sempre sognato di fare un disco in Texas, con alcuni dei musicisti del luogo, e dei migliori. Texano di Austin, il cantautore del volto spaccato dal sole e dalla sabbia, aveva trovato la fama in Europa, poi era tornato, dopo anni di esilio, in patria. Prima a suonare, quindi ad incidere.
Ma purtroppo il ritorno a casa è coinciso con il periodo peggiore della sua carriera. Infatti Calvin ha perso in smalto, carattere, forza. Non c'è più la disperazione degli esordi, né l'intrinseca forza interpretativa, è rimasto il mestiere, e quello non basta. Calvin nel corso del tempo, ha acquisito un suono più morbido, malinconico, quasi fosse una sorta di JJ Cale: ma rispetto al chitarrista dell'Oklahoma non ha né forza compositiva, né la carica interpretativa.
Russell si era creato un suono, almeno nei primi dischi, con le chitarre che tagliavano le canzoni, con quei suoni notturni e disperati e le canzoni desertiche: ma ora si è messo in riga e fa il cantautore usando sonorità professionali, di qualità, ma assolutamente nella norma. Il risultato è quindi un disco allineato, piatto e, tutto sommato, scialbo. Prodotto dal texano Joe Gracey, Rebel Radio si avvale di munisti esperti come Riley Osbourn, Richard Bowden, Stephen Bruton, Lloyd Maines, Freddie Krc ed altri.
Tra le canzoni, a parte le sue composizioni, in cui non ce ne è una che si solleva dalla mediocrità, ci sono alcune covers: ma anche brani come No Expectations (Rolling Stones), Still Lookin'For you e I'll Be Here in the Morning (Townes Van Zandt), I Never Cared For You (Willie Nelson) non si sollevano dalla mediocrità generale. Ron Wood, ex Faces, da tempo negli Stones, come solista non ha mai fatto dei miracoli. Solo dell'onesto rock. Ma oggi, con quello che costano i dischi, fare musica onesta vuol dire non avere una chances per sfondare. Wood basa molte delle sue fortune sul fatto di essere una pietra rotolante. Con il mercato che hanno gli Stones i suoi dischi, anche decisamente secondari, hanno comunque una certa vendita. Not for beginners non è neanche male.
È un disco di chitarre, con buoni impasti armonici e qualche canzone che profuma di Stones. Inoltre è impreziosito dalla partecipazione di Bob Dylan, come chitarrista, in un paio di brani. Oltre al poeta, che però non canta, Wood è circondato da gente di mestiere come Willie Weeks, Ian McLagan, Andy Newmark, Scotty Moore e DJ Fontana. Un disco senza picchi creativi ma neppure tonfi clamorosi. Discreta la rilettura di So You Want to be a Rock and Roll Star dei Byrds, mentre le cose più interessanti arrivano dagli strumentali. Wayside, l'espressiva Hypershine o la conclusiva King of Kings, un duetto tra Ron e Bob. Anche Interfere dove appaiono Dylan, Moore e Wood, non è male.