CALVIN RUSSELL (Calvin Russell)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Questo è il sesto album del texano triste, Calvin Russell, l'uomo dal volto rugoso e scavato, l'uomo che la vita ha temprato duramente. Nato povero, sesto figlio di una coppia che, originariamente, lavorava come cuoco e cameriera in un ristorante, Calvin ha vissuto a lungo come un hobo vagando per il Texas: è finito in prigione nel 1985 ed ha pagato duramente una inutile leggerezza. La vita lo ha forgiato ed ha segnato il suo volto, ma il suo cuore, la sua anima hanno subito una profonda mutazione e, sul finire degli anni ottanta, ha cominciato a prendere sul serio la propria carriera di musicista.
Oggi, a 49 anni, è diventato famoso in Francia, conosciuto in mezza Europa, ma rimane completamente sconosciuto in patria. I suoi dischi non sono mai stati editi oltre Atlantico. Ma in Francia il suo contratto è in mano alla Sony e, presto o tardi, giustizia sarà fatta. Patrick Mathe, il boss della defunta New Rose, lo ha scoperto ad Austin nel 1989 e lo ha messo immediamente sotto contratto. Da quel momento Calvin ha inciso cinque dischi: «A crack in time», un debutto di grande effetto, «Sounds from the fourth world», «Soldier» (prodotto dal pard di Ry Cooder, Jim Dickinson), «Le voyager» (registrato dal vivo) ed il recente, molto roccato, «Dream of the dog».
«Calvin Russell» lo vede tornare verso atmosfere più acustiche, pur non tralasciando la sua anima elettrica, di nuovo prodotto da Jim Dickinson. Dickinson, amico di lunga data di Ry Cooder, produttore e collaboratore di gente come Alex Chilton, Big Star, Albert King, Texas Tornados, Green on Red, Mojo Nixon, Joe «King» Carrasco, ha scelto la via della semplicità: infatti ha affiancato a Calvin pochi, ma grandi, musicisti. Chuck Prophet, ex Green on Red, si occupa delle chitarre, mentre la sezione ritmica regina degli studi Muscle Shoals, David Hood e Roger Hawkins provvede a basso e batteria.
Il suono è aspro e dolce al tempo stesso, desertico e avvolgente, sinuoso e tagliente: «Calvin Russell» è probabilmente il disco più bello del texano triste e merita, per l'ennesima volta, una segnalazione positiva. Ci sono diverse ballate dal tessuto acustico, un paio di grandi covers e, in tre canzoni, l'iniziazione al gospel di Russell, con un coro femminile dietro alla sua voce. Dickinson ha badato al sodo, non ci sono strumenti di troppo, solo quella voce arsa dal sole, la chitarra potente di Prophet e la ritmica rocciosa di Hood & Hawkins.