MATTHEW RYAN (Mayday)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

La A&M, come nel recente caso di Paul Thorn, è una etichetta da tenere d'occhio. Pubblica sempre dei dischi minori di notevole interesse, ha degli A&R capaci di scovare solisti di grande talento e li mette a proprio agio con prodotti altamente professionali. Non sono dischi che venderanno molto, questo è sicuro, ma sono dei prodotti seri e soprattutto onesti, che non deludono l'acquirente sempre alla ricerca di buona musica. Matthew Ryan è un esordiente ed il disco è stato prodotto da David Ricketts, già membro del duo David & David e, in seguito, produttore di Toni Childs e coautore con Robbie Robertson. Ricketts è un uomo di esperienza ed ha facilitato in tutti i modi il lavoro di Ryan.
Matthew proviene dalla classe lavorativa: il padre era operaio a Chester, Pennsylvania, poi la famiglia ha divorziato e lui è cresciuto con la madre il patrigno e i suoi cinque figli. Ma le prime indicazioni per la futura carriera gliele aveva date il vero padre: infatti aveva scritto una canzone per il grande country singer George Jones. A 15 anni si è spostato a Delaware dove ha incontrato per la prima volta una versione del sogno americano: ragazzini che guidavano Saab e Volvo, sembrava la terra promessa. A 17 anni ha formato la sua band: Ryan ed i suoi amici hanno cominciato imitando U2, New Order e Psychedelic Furs. Ma era un periodo di passaggio, peraltro obbligatorio.
Seguendo i consigli di un suo ispirato insegnante Matthew ha letto «Delitto e castigo» di Dostojevsky e «Il giovane Holden» di JD Salinger, così ha cominciato a ragionare in termini più esistenzialistici ed il suo amore per la musica si è spostato verso i Replacements, Waterboys, Clash e Blue Nile. A 21 anni è andato a Nashville, con duecento dollari in tasca e tanti sogni nel cassetto, e qui ha formato i Caustics: la band ha cominciato a girare ed a fare concerti sera dopo sera, ma Ryan non era soddisfatto, cercava una forma di espressione più personale, meno fracassona, più intima.
Così si è messo da solo ed ha cominciato a scrivere moltissimo, lavorando in perfetta solitudine o con un trio: due chitarre ed un cello. Questo modo di vedere la musica lo ha portato a «Mayday», un disco che comincia, piuttosto secco e disadorno, ma che va diretto all'anima con ballate intime, talvolta poco strumentate. Il suo approccio vocale, roco e studiato, richiama in parte Andrew Dorff, ma anche certe inflessioni di John Hiatt e di Joe Henry.