BO RAMSEY (In the Weeds)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Bo Ramsey, eccellente chitarrista originario dell'Iowa, valido sideman alla corte di Greg Brown, ci fa pervenire in questi giorni in fine marzo la sua nuova prova solista. Musicista per musicisti, ha alle spalle due albums che hanno destato l'interesse sincero degli appassionati. Mi riferisco a «Down to bastrop» (edito originariamente nel '91 per la Shed e ripubblicato in Europa qualche anno dopo dalla Taxim con copertina differente) e a «Bo Ramsey & Backsliders live» (Trailer) del '95. Due albums che esprimevano al meglio, fondendo con una visione personale, un sound guitar-oriented e le influenze di una musica decisamente americana.
Ci troviamo di fronte a un musicista capace, dotato di quel tocco in più che fa la differenza; una slide degna del Cooder più desertico (ascoltate «Blue hearth» su «... Bastrop») o quei suoni che ti entrano sottopelle con rock-ballads fluide e notturne. In questo nuova fatica Ramsey privilegia ancor di più i toni crepuscolari, ballate bluesy e suggestivi brani rock dai toni notturni; giochi di luci e ombre. Bo, dotato di una voce espressiva, ci fa ascoltare un lavoro discreto e incisivo. La title track ha un suono bello pieno, sapido e intenso. Ci sono poi ballate come «Desert Rose» o «King of clubs» nelle quali il Nostro coniuga, con colori virati, buone doti di compositore e chitarrista. Mentre l'ombra di Tom Waits, illuminata dalla luce fioca di un lampione, fa capolino, là dietro l'angolo, in «Preccious».
Brano caratterizzato da un percussionismo rallentato e da una slide cupa e rarefatta. «Everything is coming down» è un rock potente ed energico con un ritmo scatenato che spinge in avanti e con la sei corde sugli scudi. Ascoltando «Big Bill» pare di trovarsi di fronte al frutto dell'incontro tra Cooder e Nick Cave, artisti che certamente hanno un posto, da qualche parte, in fondo al cuore di Ramsey. «Big Bill» è la perla dell'album, certamente tra le mie favorite. «Sidetrack lounge» era già presente sul live, rispetto a quella versione questa è ancora più oscura e notturna, con attitudini waitsiane.
L'ombra dell'Hammond che contrasta un tappeto percussivo e la chitarra usata con senso della misura creano un sound compatto ed efficace. Diretto ed emozionante. Mentre, «Forget you», scritta a quattro mani con Greg Brown, ha il passo di una corsa nella notte e immagini sonore che scorrono veloci... Chiude l'album «Living in a cornfield»; acustica e delicata, con la slide sullo sfondo e il tocco leggero del piano di David Zollo; è una song che cresce piano piano, come la notte che lascia posto alla luce dell'aurora, al giorno che s'avvicina con sensazioni serene che avvolgono l'anima.
C'è il senso della musica in questo disco. Opera ispirata e stimolante da ascoltare con applicazione.