RAINRAVENS (Diamond Blur)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Il Texas, si sa, è la patria di un certo tipo di musica country molto elettrica, con un piede costantemente nel rock, che si contrappone alla marea di melensaggini e baggianate commerciali prodotte a Nashville, e la qualità di questa musica è quasi sempre di livello egregio. A questa regola non sfugge neppure il secondo album dei Rainravens, band proveniente da Austin: «Diamond blur» è infatti un disco decisamente positivo, molto elettrico, ben prodotto, ma anche dotato di inventiva.
Non è infatti il solito disco di insurgent country tutto ritmo (che pure sarebbe molto ben accetto), ma contiene anche ballate lente, amare, cantautorali, che danno più completezza ad un lavoro già di per sé molto valido. I Rainravens sono un quartetto (Andy Van Dyke, il leader, David Ducharme-Jones, David Evertson e Herb Belofsky) e tra i sessionmen spicca Lloyd Maines, noto produttore (Joe Ely e James McMurtry, Texani con le palle quadrate). L'iniziale «Wandering heart» ha una languida, ma fuorviante, introduzione in stile Nashville: subito però il ritmo si fa deciso, le chitarre incominciano a ruggire, e ci ritroviamo di botto catapultati in un bar di Austin, in mezzo a nachos e tequila.
«Last one through the door», voce roca, ha un bel ritmo cadenzato, un riff tra Rolling Stones e ZZ top ed un'armonica bluesy a dare il tocco in più; la lenta e strascicata «Down in the water» ha uno sviluppo western affascinante (sembra uscita dalla penna di Kris Kristofferson), un grande dobro (Maines) ed un'amalgama di voci perfetta. «King's horses» è decisamente una grande ballad, punteggiata dall'organo, che ricorda le cose più riflessive ed interiori di Steve Earle: script lucido e melodia da brividi. Il disco cresce, eccome. «Dead horse» è uno di quei rock'n'roll che ti fanno agitare sulla poltrona, mentre «Rainravens' 115th dream or welcome to Nashville» (il cui titolo richiama umoristicamente il noto brano di Dylan su «Bringing it all back home»), è rifatta nello stesso stile talking blues del Maestro, con base molto più elettrica, ma comunque con grandi dosi di humor e fantasia.
I Rainravens non hanno paura a misurarsi con i classici, passano con disinvoltura da uno stile all'altro e vanno dritti per la loro strada, grazie anche a massicce dosi di feeling. «Same old skin» proviene idealmente dalle sessions di «Harvest», «Stick together» è pura roots music elettrica, «Empty» è una malinconica ballata introspettiva, in cui l'autore dichiara di sentirsi vuoto dentro, paragonandosi ad una lunga serie di oggetti e situazioni, ma senza trovare un rimedio. L'album termina con «Dim lights, small city», possente ballad adatta agli spazi aperti, «Wallpaper cowboys», country song in stile «Sweethearts of the rodeo» e «One for the road», ottimo brano corale con qualcosa di californiano. Un piccolo grande disco, da gustare fino in fondo: i Texani non tradiscono mai.