TISHAMINGO (Wear N' Tear)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  15/01/2005
    

Non più di due anni fa avevamo parlato di una band sconosciuta, una band del Sud, dal nome esotico: Tishamingo. Un bel disco, ruspante, sudista, blues, rock, chitarristico. Ma dopo quel disco sembrava non ci fosse più un seguito. Ma ecco che, improvvisamente, arriva sui nostri tavoli redazionali il secondo album. Sì, sono proprio loro, i Tishamingo di Tallahassee, Florida, un quartetto con le palle e le chitarre.
Un quartetto dal suono ruvido, bluesato e sudista, che in questi anni si è fatto le ossa suonando prima di gente come Widespread Panic, Tinsley Ellis, Derek Trucks Band, Warren Haynes. E Wear N' Tear prosegue il discorso già brillantemente iniziato con Tishamingo. Quel disco era già un prodotto professionale, con l'ausilio dell'esperto John Keane, e questo secondo lavoro vede nientedimeno che David Barbe dietro alla consolle, altro uomo di sala di registrazione esperto. E Barbe, che ha suonato nei Sugar (la band post Husker Du di Bob Mould) ha lavorato in sala di registrazione con Son Volt, Glands, Built To Spill e Kelly Hogan, per nominarne alcuni.
Un uomo dai suoni completamente diversi rispetto a Keane (che comunque rimane come ingegnere del suono). Ed i Tishamingo sono diventati più robusti. La band è formata da Cameron Williams e Jess Franklin, chitarre, Stephen Spivey, basso e Richard Proctor, batteria. Come ospiti abbiamo solo Tony Giordano e Jason Fuller, entrambi tastieristi. Wear n' Tear ha un suono potente, profuma di southern rock lontano un miglio e non solo perché i ragazzi rifanno alla loro maniera un'oscura canzone dei Lynyrd Skynyrd, Poison Whiskey, ma perché ci danno dentro con ballate dure e sudate come l'iniziale Wastin' Time, che gioca le sue carte sulle voce e sulla potenza delle chitarre. Poi ci sono i sette minuti di Hillbilly Wine e, a questo punto, abbiamo la certezza che i Tishamingo rappresentano la continuità del southern rock.
Sanno scrivere buone canzoni, hanno le voci adatte ed il suono è vibrante ma, al contrario di molte band che li hanno preceduti sotto la linea di Mason/Dixon, non sono derivativi. Hillbilly Wine segue una linea melodica tesa e personale e sfocia in una poderosa ballata elettrica che già mi vorrei gustare in una versione live, magari di venti minuti.
Chitarre a manetta, come succede nella vitale Smoked Mullett, altro banco di prova per la forza delle chitarre e canzone manifesto nei concerti del quartetto. Magic è più soffice, con un intro acustico, mentre Rome è uno strumentale fluido che copre adeguatamente la sua durata e lascia fluire limpide linee melodiche. C'è spazio anche per una canzone country, veloce e tirata, Legend of George Nelson. Per chiudere con una solida slow southern song, Worn Out Soles e, di nuovo, con una country song in puro stile Skynyrd, Ain't Got Time, che si dilunga per sei minuti abbondanti e diventa una sfrenata southern jam, con l'organo e le chitarre che si incrociano.
Chitarre espressive, influenze southern, ritmo acceso, bella melodia. I Tishamingo sono ormai una realtà e, visto che non dovrebbero costare un patrimonio, perché qualcuno non li porta a suonare da noi? Sicuramente farebbero fuoco e fiamme anche dalle nostre parti.