MARTIN’S FOLLY (Man It’s Cold)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  31/01/2004
    

Mentre seguivo la registrazione, e gestazione, dell'ultimo album dei Bottlerockets nel nuovo studio personale di Eric Ambel, in quel di Williamsburg, Brooklyn, ho avuto la fortuna di imbattermi, o meglio Eric mi ha fatto imbattere, in un suo caro amico, nonché leader e cantante della band di nome "Martin's Folly".
Naturalmente la nostra conversazione, come quella di chiunque passi alcune ore in compagnia di Eric, è ampiamente aiutata all'ampia presenza di nuvoloni di sostanze più o meno lecite ma non riesco a fare a meno di notare quanto Chris, sebbene sia l'esatto opposto di un cantante di musica Rock sotto il profilo estetico, sia sinceramente mosso dal numero del Busca che avevo con me e che era intento a sfogliare. Mi ha parlato di quanto gli piacessero certi nomi che vedeva recensiti, che in America non trovano uno straccio di menzione sulla stampa specializzata, ed immediatamente estrae dalla borsa una copia del suo nuovo CD e me la porge chiedendomi, per favore, di fargli sapere cosa ne pensassi.
Naturalmente, il fatto che Eric me ne avesse parlato bene mi aveva non solo ben predisposto ma anche fatto ben sperare. Non avrei mai pensato, però, di trovarmi di fronte ad uno dei migliori dischi del neonato 1999. Se c'è giustizia e se conosco i gusti dei lettori, e di alcuni miei colleghi, del Busca, questo disco figurerà in più di una classifica dei dischi migliori di quest'anno.
Il sound dei Martin's Folly è un sapiente dosaggio di Tom Petty, The Band e un po' di Bruce, molto poco a dire il vero, che crea grandi atmosfere, grazie anche all'apporto senza prezzo di un hammond lancinante che attraversa tutto l'album. In questo panorama, inusuale per un album prodotto dal buon "Roscoe", la sua figura di produttore e di "enfant terrible" della scena musicale americana si esalta sempre più. A parte il lavoro di produttore, Ambel funge anche da arrangiatore dei fiati, trombettista, tastierista, chitarrista e corista. Che dire, un musicista a tutto tondo il buon Eric e musicisti con delle ottime canzoni i Martin's Folly. Christ Gray, cantante e autore di tutti i brani, è aiutato in questa sua missione da una voce molto particolare che, fortunatamente o sfortunatamente dipende dai punti di vista, sfugge ad ogni paragone o catalogazione facendone quello che si dice un'interprete particolare e interessante.
"Man, It's Cold", titolo dell'album che è distribuito dalla Tar-Hut Records, affiliata con sede in Massachussettes della meglio nota E-Squared Records di Steve Earle, è; un grande album. Mentre scrivo questa recensione sono a conoscenza del fatto che la band ha inciso un'altro album ma non ho ancora avuto modo di ascoltarlo e non ho idea di quale sia la casa discografica che l'ha pubblicato. Agevole, "Man it's Cold", lo è anche nella durata che è di poco superiore ai 40 minuti e ne fa uno di quei CD che si ascoltano tutti d'un fiato con la massima attenzione. Apre "Two Times a Day" in cui l'organo la fa da padrone e sembra di ascoltare un brano di Tom Petty. "
Throwing Stone", la canzone che segue, è una di quelle composizioni molto particolari. Si è insinuata nella testa dopo averla ascoltata mezza volta e grazie ad un refrain geniale è destinata a restarci per mesi. I contrappunti di fiati le danno un'aria solare, sebbene l'argomento non sia da ridere, e nel "bridge" spunta anche un'assoletto di armonica niente male suonato dallo stesso Chris Gray. "She Comes Around" si muove sulla stessa scia delle altre canzoni con in più, se non erro, un mellotron che detta i cosiddetti "breaks" e dona al brano un'atmosfera vagamente funkeggiante, nel miglior senso del termine. "Man, It's Cold", la title-track, è una ballata tinta, anzi intrisa, di molto soul.
Una chitarra molto "flangerata" accompagna la voce nel ritornello e dona al brano una qualità molto particolare che mi fa amare questa canzone, ovvero, sembra di essere in una moviola. Per chi non riuscisse a immaginare quest'effetto posso dire che è tipico del "flanger" e sembra catturare l'ascoltatore in una dimensione dominata dalla "lentezza" o, per meglio dire, dalla upigrizia". "Track 5 Blues" è un Rock'n'Roll che potrebbe essere stato scritto da Bob Dylan, è un po' anomalo, sghembo, e ci sono dei bei breaks più tipici del Rhythm'n'Blues ma nel complesso la canzone è vincente. I temi finora affrontanti sono quelli tipici di relazioni andate a male, di solitudine urbana e di relativo imbarbarimento dei tempi ma sono trattati con estrema maestria della lingua inglese il che gli permette di uscire dalle solite rime o dai soliti schemi di scrittura, soprattutto delle bands alle prime armi. "New Friend", brano che parla della necessità dell'uomo di socializzare e di poter contare su un'amico, un vero amico, nei momenti difficili della propria vita, sembra essere un brano dei Bottle Rockets con in più il solito zampino dell'Hamond e "Giant on the Beach" usa lo stesso trucco di "flangers" e "delays ' usato dalla titletrack per catturarci e portarci nel proprio universo parallelo.
La verità, però, è che queste canzoni sono di una tale qualità e fattura che è bello farsi catturare e partire per una terra sconosciuta dove a dettare le emozioni è la bravura dei Martin's Folly ed il sapiente arrangiamento di Eric Ambel che, per questa canzone, spolvera un suono di batteria da far accapponare la pelle. Sembra infatti di essere dinanzi ad un batterista intento a suonare in un bar vuoto alle 4 di mattina, accompagnando il primo, "after-hours", Tom Waits. "The Specter" sembra quasi una canzone garage, nella scrittura, ma i suoni, e soprattutto una solare sezione fiati arrangiata da Ambel, e chi altri, la spostano verso un rauco, e bianco, R'n'B. Ci sono stati begli assoli di chitarra lungo il disco ma il sound dei Martin's Folly è un suono così ben amalgamato, un po’ come quello di "The Band", che faccio fatica a riconoscerli. Quella che appare essere la virtù di quest'album è la maturità dei suoni di questa giovane band newyorkese.