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Phish, la creatura di Trey Anastasio, sono al quinto disco. E che disco! Ma andiamo con ordine. I
Phish sono ormai all'apice della popolarità, almeno in USA: 103 shows nel '93 con un totale di 311.807 biglietti, 502.409 album di catalogo venduti (cioè tutti e quattro i dischi messi assieme), 50.000 persone sul mailing list e 40.000 lettori del computer network.
Non male per una band che esiste da pochi anni e che, solo con gli show dal vivo, ha saputo crearsi un seguito che va ben oltre il culto e diventa quasi maniacale. I fans dei Phish si scambiano i nastri e seguono il gruppo data per data. «
Hoist» è il quinto album, ed è un grande disco. Anastasio e soci (il pianista Page McConnell, Jon Fishman e Mike Gordon) prendono di petto la musica e la rivedono con una visuale a 360 gradi: musica universale quindi, non nel senso dei Lobos, ma con una logica più popolare. Musica per tutti, quindi facilmente fruibile, che va dal rock al pop, dal sinfonico al country, dal bluegrass all'hard, dal funky alla psichedelia, dall'improvvisazione pura alla ballata acustica: ed in mezzo a questo marasma di note, suoni, voci, rumori, chitarre, vibrazioni, sensazioni, mutazioni, la band trova sempre il bandolo della matassa e riesce a portare a termine un disco che, dopo vari ascolti, esce a fatica dal vostro CD player.
Ho questo nastro da metà febbraio ed ho ascoltato il disco almeno cento volte e, ancora adesso, sto scoprendo alcune cose: un passaggio di chitarra che non avevo notato, una spazzolata sui tasti del pianoforte, una toccante ballad acustica, una furiosa cavalcata elettrica. I
Phish scrivono con acume, sanno creare melodie che entrano in testa e ben difficilmente ripetono le note sul pentagramma: nella sua ora di musica secca «
Hoist» ci regala emozioni.