Lo scorso anno, a giugno,
John Prine ha dato un concerto straordinario in quel di Gallarate. Malgrado una scarsa partecipazione di pubblico, Prine ha tenuto uno di quei concerti che verranno ricordati a lungo, molto a lungo, da coloro che vi hanno assistito. Seppure supportato da un trio elettro-acustico (Phil Parlapiano: piano e fisarmonica, David Jacques: basso e Jason Wilbur: chitarra, quindi niente batteria) Prine ha dato una lezione di classe e di bravura, prendendo in pugno la platea e conducendola attraverso una cavalcata, in continuo crescendo, di ballate dallo straordinario impatto emotivo: Phil Parlapiano alla fisarmonica ha scaldato l'atmosfera e la voce chioccia, quasi dylaniana, di John ha fatto il resto.
Una serata indimenticabile. A quasi un anno di distanza, il ricordo di quella serata prende nuovamente corpo grazie a questo disco dal vivo, il secondo della carriera pluriventennale del cantautore. Nella sua scarna discografia John ha già un disco dal vivo, «
John Prine Live» (1988), che, a mio giudizio, è abbastanza deludente. Il disco, per lo più acustico, non cattura in pieno la forza del suo autore e spesso le canzoni, argute e piene di ironia, si perdono perché non supportate da una adeguata strumentazione: mentre con questo «
Live on tour» accade tutto il contrario. John, ben sostenuto da una solida band elettrica, da il meglio di sé stesso e ci regala un disco di grande caratura che, ne sono sicuro, troveremo nella lista dei migliori alla fine dell'anno.
Prine non rinuncia alla performance acustica, l'inedita «
Space monkey» (è stata scritta con Peter Case) e la tenue, ma toccante, «
The late John Garfield blues» (una delle mie favorite di sempre) ne sono l'esempio, ma la pienezza del suono della band (Larry Crane, già con Mellencamp, David Steele e Jason Wilbur alle chitarre, Jacques al basso, Ed Gaus alla batteria), le entrate di piano e fisarmonica (Phil Parlapiano, formidabile session man), danno al tutto un che di finito, di compiuto, che il precedente album live non aveva.
Prine, per oltre 25 anni, ha scritto ed eseguito canzoni dal punto di vista della classe lavorativa: dal drogato dipinto in «
Sam Stone» alla coppia di bimbi bianchi raccolti dai pellerossa sulle sponde del «
Lake Marie», John ha palesato un raro talento nel catturare la durezza della realtà nella vita di ogni giorno. Così non sorprende il calore del pubblico, la partecipazione corale, il fatto di sentire la gente che canta intere strofe: Prine è uno di loro e, in quanto tale, gode del più completo rispetto.
«
Live on tour» contiene brani che non erano sull'altro live, non ci sono molte canzoni famose, ma, proprio per questo, la sorpresa è ancora maggiore. Nei suoi settanta minuti abbondanti il CD offre moltissimo. Apre «
Picture show»: la chitarra acustica taglia l'aria, poi la band riempie di suono la sala e la voce quasi afona di John, dylaniana sino al midollo, chiude il cerchio.
Classica ballad prineana, «
Picture show», è un'opener di grande impatto. «
Quit hollerin' at me» prosegue: nei suoi sei minuti la canzone si svolge su un tema dialogativo, con l'organo che segue la voce. «
You got to hold» ha un tipico attacco di chitarra: è una composizione folkeggiante, cantata con la voce tipica, con la fisarmonica che fa da contraltare alla voce ed il suono che cresce, nota dopo nota, finendo con il dominare la canzone stessa. Anche «
Unwed fathers» ha un bel debito con la grande tradizione cantautorale americana: John la canta con naturalezza e la canzone si arricchisce di questa facilità d'espressione. «
Space monkey», acustica, è un omaggio alle sue origini: ricorda la classica «
Dear Abby» ed ha dei forti collegamenti con la tradizione acustica americana: intro parlato, con la gente che ride, poi la canzone, voce e chitarra, calda, dialogativa, brillante cattura l'attenzione di tutti.
La triste «
The late John Garfield blues», una delle più belle dell'intera opera prineana, viene rivistata con l'ausilio della fisarmonica: questo racconto d'altri tempi, dedicato ad un grande attore prematuramente scomparso, è uno dei vertici della scrittura di John, e questa versione nobilita ulteriormente la canzone. Con «
Storm Windows» siamo ancora nella parte acustica: è la volta di Parlapiano, che con il suo splendido assolo di pianoforte nobilita a sua volta una grande canzone: come nel caso della precedente esibizione, anche qui la canzone risulta persino superiore alla versione in studio. Faccio fatica a trovare degli aggettivi, ma questa versione mi da i brividi ogni volta che la suono.
Da sola vale l'acquisto del disco, ma, credetemi, le sorprese non sono finite. «
Jesus, The missing years» trova ancora John in perfetta solitudine, a raccontare una storia piena di ironia: il pubblico apprezza e, mano a mano che la canzone prosegue, le risate si fanno più fragorose e gli applausi sempre più caldi. «
Humidity built the snowman» (che titolo!) vede rientrare sul palco la band, mentre la canzone svolge la sua storia, con un ritornello accattivante che cattura immediatamente. È il preludio ad una travolgente versione della notissima «
Illegal smile», un valzerone elettrico che Prine suona in mezzo ad applausi scroscianti, con il pubblico che, alla fine, canta coralmente il ritornello (brividi lungo la mia schiena. ..). «
Daddy's little pumpkin» è un rock and roll puro e semplice che fa da preludio al finale trionfale di «
Lake Marie».
Come a Gallarate questa canzone, tratta dal recente «
Lost dogs and mixed blessings», diventa il center piece della performance: brano di forte impatto, dalla melodia avvolgente, «
Lake Marie» ha un ritornello vicente («
We were standing, standing by peaceful waters, standing by peaceful waters, whoo wah oh wah oh») ed è un racconto teso ed elettrico che lascia largo spazio alla band, in un tornado di sonorità ad alto tasso emotivo che, tra rallentamenti e velocizzazioni, tra pieni sonori e parti quasi parlate, si muta in un racconto di grande forza epica.
Canzone straordinaria dal finale travolgente. Fine del concerto. Ma il disco non termina qui: ci sono ancora tre canzoni, tre nuove canzoni registrate in studio, che rendono il lavoro ancora più completo. John si avvale della compagnia di Robbie Turner, Jack Holder, Benmont Tench, Keith Sykes, Pat McLaughlin, John Jorgeson ed Howie Epstein per queste nuove registrazioni in studio. «
If I could», fisarmonica subito in evidenza, è un country spedito e lineare, cantato in modo accellerato, con la steel guitar che detta legge ed un coro che risponde alle parole di John. «
Stick a needle in my eye» è una composizione riflessiva, divertita nella sua esposizione: Prine ha sempre il dono della semplicità, di sapere andare al sodo, di comporre brani che sono immediatamente memorizzabili.
Chiude «
You mean so much to me», lenta e pianistica, riflessiva: un classico lento, malinconico ed interiore. Concerto di grande forza espressiva, con il bonus di tre nuovi brani registrati in studio. Tra le cose migliori del cantautore.