JOHN PRINE (Great Days)
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  Recensione del  30/01/2004
    

John Prine, da almeno un ventennio, è uno dei cantautori più intelligenti, arguti e preparati che hanno calcato le scene statunitensi. Ma la sua fama non è mai stata molto vasta ed il suo culto è quasi solo americano: in Europa non è molto conosciuto ed i suoi dischi sono stati pubblicati in modo irregolare. Ma, con il successo dell'ottimo «The missing years», qualche cosa è cambiata: John ha cominciato a farsi conoscere anche fuori dai confini nazionali e ha conquistato una distribuzione europea (anche italiana!) tramite la This Way Up e la Polygram. Ora la Rhino mette sul mercato, in attesa del nuovo lavoro di John (Prine Christmas, in uscita giusto quando leggerete queste righe), una doppia antologia: 41 canzoni, 150 minuti di musica ed un bel libretto ad illustrare il tutto.
Una carriera che ha superato i venti anni, dagli esordi splendidi di John Prine, dylaniano e folkeggiante sino al midollo, alle conferme di Diamonds in the Rough, Sweet revenge, Common sense, Bruised orange, via attraverso la fine dei settanta ed i tribolati anni ottanta. Infatti dopo il plauso iniziale della critica Prine, che non è mai stato baciato dal grande successo, ha visto via via offuscarsi la sua stessa stella, sino a che ha deciso di rompere con l’industria e di prodursi in proprio, fondando la sua etichetta: la Oh Boy Records. Il primo disco non è stato eclatante (Aimless Love) ma già German Afternoons ha mostrato un sostanziale miglioramento che, dopo il disco dal vivo, l’eccellente The missing years ha palesato in modo definitivo.
The Missing Years ha venduto poco più di quattrocentomila copie nei soli Stati Uniti e questo fatto, a cui John è arrivato con le sue forze, gli ha aperto le porte della distribuzione europea. Great Days, grandi giorni, è una antologia equilibrata: non ci sono inediti, ma il doppio album contiene il meglio del cantante. La voce dylaniana, la vena satirica sempre graffiante, la musicalità intelligente sono dei doni poco comuni: John sa usare ad arte il pentagramma, non butta le sue canzoni al vento, ma le dosa, con molto equilibrio: e questo fatto traspare ancora di più di fronte ad una antologia così ben articolata.
Quarantuno canzoni, il primo CD è da cinque stelle, il secondo da tre e mezzo perché meno continuo compositivamente, ma l’opera, nella sua totalità, funziona a meraviglia perché fa risaltare l’intelligenza del suo autore e la bellezza cristallina di buona parte delle sue composizioni sempre dotate di arrangiamenti semplici ma molto diretti. Illegal smile, Hello in there, Sam Stone, Paradise, Donald and Lydia (una sequenza iniziale da dieci e lode), The late John Garfield blues (quest’ultima è tra le mie preferite: canzone superba, dedicata ad un grandissimo attore), Yes I guess they oughta name a drink after you (splendida e graffiante), Sweet revenge, Dear Abby (dal vivo), Christmas in prison, Blue umbrella, il sapido rock and roll (dal testo irridente), Fish and Whistle, Bruised orange, That’s the way that the world goes round: brani indimenticabili, tutti schiacciati nel primo compact, un tourbillon di folk, country e canzone d’autore miscelati con assoluta naturalezza.
E nel secondo Cd, troviamo Souvenirs, Sabu visits the twin cities alone, Speed the sound of loneliness, The sins of Mephisto, All the best, Angel from Montgomery, Unwed fathers, It’s a big old goofy world. Come si può vedere una raccolta ben articolata, imperdibile per chi non conosce (o ha solo l’ultimo album) Prine, essenziale per quelli che hanno solo qualche disco, ma non conoscono il primo, splendido, periodo.