Li abbiamo già recensiti in questa rubrica, alcuni mesi fa, con il nome di
Dan Israel & The Cultivators. Il loro disco di debutto,
Before We Meet, ci aveva ben impressionato. Un suono chitarristico fluido e godibile, legato a stilemi classici, con forti tendenze alla jam. E la band si è conquistata un suo pubblico, entrando addirittura nelle charts di
Americana per varie settimane.
Dan Israel, 27 anni, è di Minneapolis, una delle scene più calde in questo momento in Usa. E la band è formata, oltre che da lui, da
Jeremy Smith, Tom Sampson e Andy Rauth.
Partecipano al disco session men locali (gente che ha suonato con Peter Himmelman, Gear Daddies, Original Harmony Ridge Creek Dippers) come Kristin Mooney, Jeff Victor, Mike Russell, Randy Broughton, David J Russ. Ma quello che colpisce è il suono della band, un suono fluido e chitarristico, fortemente venato di radici con limpide aperture melodiche: il tutto al servizio di una manciata di canzoni di qualità.
Nei suoi 55 minuti l'album ci propone ballate elettriche di spessore come
Never Stopped to Run, dialogativa, ben sostenuta dalla voce roca di Dan,
Wrong Side, un country lament elettrico,
All Alone, diretta e lineare.
Happy Again inizia con una chitarra arpeggiata per poi mutare in una rock song venata da una forte melodia di derivazione irlandese, mentre
Mama's Kitchen, che supera largamente i sei minuti, è una cavalcata chitarristica e non a caso da il titolo al disco. Il suono della band, semplice e diretto, si basa essenzialmente sulle chitarre, su una vocalità duttile, il tutto al servizio di una serie di canzoni di qualità.
Altri brani degni di nota: la rockeggiante
Scrambling Scheme, la semplice e quadrata
Graduation Day, sino a
Word on the Street, dura e roccata, con le chitarre in grande evidenza. Un sano disco di rock, che ha una qualità media alta e che, pur non essendo particolarmente originale, emerge per l'onestà di fondo e per la pulizia del suono. Puro guitar rock.