Tom Petty stakanovista del rock & roll? Decisamente il mezzosangue rocker della Florida negli ultimi tempi si è dato da fare parecchio sui palchi e nelle sale di registrazione. Al 1987 risale l'ultimo album con gli Heartbreakers, il robusto
Let Me Up, cui hanno fatto seguito le lunghe tournée per il mondo con l'amico Dylan ed una serie di apparizioni nei dischi della crema del nuovo rock americano, fra cui Del Fuegos e Lone Justice. Soprattutto però c'è stata l'invenzione, nel corso del 1988, del giocattolo dell'anno: i Traveling Wilburys, un supergruppo creato senza tanto rumore da un eroe degli anni '50, due degli anni '60 e due degli anni '70, ed artefice di un album che reinventa le melodie dei favolosi sixties, a vent'anni suonati di distanza. Che
Tom Petty dal suo rock & roll si aspettasse qualche cosa di più del risaputo, ce ne siamo accorti da un pezzo.
Disco dopo disco, il lavoro con gli
Heartbreakers evidenzia una sottile smania di ricerca di novità e di "differenza", quasi di uno standard per un nuovo rock degli anni '80. Non per niente si narra che durante l'incisione di
Southern Accent (un disco tanto sofferto quanto sottovalutato) si sia fratturato una mano prendendo a pugni una parete dello studio, per la frustrazione di non ottenere il suono che aveva in mente. In questo senso la collaborazione dei Traveling è stata determinante: nata probabilmente quasi per scherzo da Petty e Dylan, la band si è arricchita della collaborazione di artisti melodici come George Harrison ed il rock & roller Roy Orbison, e di quel topo da studio di registrazione che è stato John Illsley. Così è stato messo assieme un suono nuovo, figlio delle canzoni degli anni '60 e dell'esperienza degli '80.
Chi ne trae tutti i vantaggi è l'ascoltatore, che si trova a godere di melodie ed arrangiamenti come non si sentivano dai bei tempi dei gruppi vocali, Beatles, Byrds, Beach Boys davanti agli altri. Il bello è che il gioco non si è limitato al disco dei cinque, ma continua nelle incisioni "soliste", dove dal suono comune emerge più prepotente la personalità di uno degli artisti. E così il disco di Orbison è rock & roll, mentre quello di Petty più acido e psichedelico, ma quelli sullo sfondo sono sempre gli stessi amici. Il primo della serie è stato il disco di Roy Orbison, purtroppo uscito postumo.
Oggi è la volta di questo
Full Moon Fever che non è stato inciso con gli Heartbreakers, ma continua ad essere un parto della collaborazione e soprattutto della filosofia dei Traveling, ed in particolare dei due principali responsabili del loro suono, Petty ed Illsley. In effetti il suono che sgorga prepotente e fantasioso dai solchi è di nuovo quella speciale versione di "come sarebbe il rock se si fosse continuato a suonare come nei sessanta". A dispetto del titolo, in
Full Moon Fever (febbre della luna piena) la passione nelle canzoni è tenuta a freno, ma in compenso quello che abbonda sono la fantasia, la gioia di suonare e la gioia di inventare.
Spesso la sensazione del déjà vu è forte: si colgono frammenti del jingle jangle dei Byrds (una canzone è un remake di un hit della band: ("
Feel A Whole Lot Better"), si ascoltano passaggi che pare provengano dal disco dei Wilburys o da Dylan ("
A Mind With A Heart Of Its Own", "
Depending On You"); ancora potremmo ascoltare il Greatest Hits di qualche band psichedelica dei '60. "
È una brava ragazza, ama sua madre, ama Gesù ed ama pure l'America. È una brava ragazza, va pazza per Elvis, ama i cavalli ed il suo ragazzo, ed io sono un ragazzaccio, perché non mi manca neppure, ed io sono un ragazzaccio, perché le ho spezzato il cuore".