TOM PETTY AND THE HEARTBREAKERS (Damn the Torpedoes)
Discografia border=Pelle

          

  Recensione del  30/01/2004
    

Se è vero che le pene temprano e la sofferenza fa bene al rock, ecco spiegato il successo di quest'album. Tom Petty lo registrò in uno dei più agitati periodi della sua carriera, mentre cercava di liberarsi dal cappio contrattuale che gli avevano messo il manager Denny Cordell e la sua casa discografica, la MCA.
Per mesi il disco fu in bilico, a un certo punto sembrò addirittura che l'orgoglioso ragazzo del Sud volesse per ripicca abbandonare le scene; alla fine però si trovò raccordo, Petty ebbe un'etichetta tutta sua (la Backstreet) e pubblicò il disco come voleva, con le canzoni forti che aveva in mente e i suoni giusti disegnati dal produttore prescelto, il giovane ma già bravissimo Jimmy lovine. "Anche i perdenti hanno fortuna qualche volta", cantava uno degli hits del disco; e il "perdente" Petty (così si sentiva, in quei complicati inizi di carriera) si ritrovò al 2° posto delle classifiche USA, con l'entusiasmo del pubblico e le lodi unanimi della critica.
Damn the torpedoes è ancor oggi il disco più esemplare di Petty, il perfetto elisir del suo rock classico-moderno. Ha grinta, energia, eleganza, sa coniugare l'eco del miglior garage americano e del folk rock jingle jangle dei Byrds con l'accesa passionalità del southern rock; ed è prodigo di belle canzoni, da cantare pubblicamente nei riti da concerto rock o da godersi in privato, meglio se on the road, secondo i miti delle radio FM. Petty si era distinto come autore brillante fin dagli inizi, con American girl, con Breakdown.
In questo suo terzo album toccava l'apice, con almeno quattro brani-killer: Here comes my girl, Refugee, Don't do me like that (tutti singoli ben accolti in classifica) e Even the losers, il suo calcio negli stinchi al mondo per farsi finalmente largo e trovare lo spazio che meritava. Se Damn the torpedoes è un album così incisivo e brillante, buona parte del merito va anche agli Heartbreakers, una delle più belle formazioni del rock moderno; con la solida sezione ritmica di Stan Lynch e Ron Blair, la luminosa chitarra di Mike Campbell e l'organo di Benmont Tench che ogni tanto ipnotizza chi ascolta e lo fa ripiombare in un felice sogno dylaniano di metà anni '60.