Di lui abbiamo già detto ogni bene possibile. È un cantautore vero, profondo, che sa arrivare al cuore, capace di trasferire in musica le sue radici, le esperienze della sua vita con una disinvoltura e una naturalezza straordinarie.
Va controcorrente perché, pur vivendo a Nashville, la mecca della country music, ne ignora bellamente le regole e le indicazioni estetiche. Non c'è niente di falso o costruito ad hoc nelle sue canzoni, nelle storie che le rappresentano.
Anzi è tutto il contrario. Mentre c'è tanto di Dylan nei suoi messaggi e del folk rock e blues urbano delle origini che non pochi di noi amano molto. Chi è cresciuto col primo Bob acustico, ma anche con quello elettrico di «
Highway 61 Revisited» o di «
Blood on the tracks», trova in lui un compagno di strada generoso, un fratello sincero. Come peraltro chi segue i cantautori di peso e qualità, i vari John Prine, Steve Forbert, Ray Wylie Hubbard, per fare i primi nomi che vengono in mente. «
Death south» è il quarto disco, se si esclude l'antologia «
Nuclear sky», di una carriera faticosamente aperta alcuni anni fa con il nuovo autoprodotto «
Industrial days».