TOM OVANS (Tales from the Underground)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Terzo album per il cantautore di Nashville, dylaniano sino al midollo, e quindi nashvilliano atipico. A Nashville Ovans è fuori dalla norma: fa il mestiere del cantautore come si usava fare trenta anni fa, non segue le mode né porta degli Stetson, casomai il suo cappello è sformato e gli stivali sono né lucidi né pieni di borchie.
Ovans è il più dylaniano tra tutti gli imitatori estimatori che il vecchio Zimmerman si porta dietro da un bel trentennio: infatti è l'ultimo di una lunga serie di musicisti venuti alla luce «con quello stile, l'armonica secca, la voce glabra, la chitarra rozzamente strimpellata», viene dopo John Prine, Elliott Murphy, Steve Forbert, Sammy Walker, Butch Hancock, e molti altri, ma la sua somiglianza talvolta è impressionante e persino imbarazzante.
Ovans è quasi un clone dylaniano, eppure i suoi dischi funzionano, hanno il sapore affascinante delle storie marginali, raccontano vicende triste o allegre: l'ambientazione, come le sue copertine, è nel più classico bianco e nero con immagini notturne, talvolta sfocate, talvolta nitide a fare da sfondo. Ovans dipinge alla perfezione quel microcosmo di losers attraverso la sua musica, con l'armonica secca e la bellissima («Dance with me girl»), oppure solo con l'armonica («The sailor»): e la voce, quasi nasale, si appiglia a sonorità degne del miglior Dylan, quello di «Blood on the tracks» tanto per intenderci. È chiaro che Ovans non ha inventato nulla, ma è anche palese che sa comporre e canta con passione: già i suoi primi due dischi, «Industrial days» ('91) e «Unreal city» ('93) avevano messo in risalto la sua vena molto interiore.
«Tales from the underground» conferma definitivamente le qualità di questo mestrello del duemila: i pregi stanno nella sua vena compositiva lucida ed asciutta, nella sua bravura nel creare bozzetti notturni, tristi e diretti, nel sapere costruire canzoni come «Angelou», «Mr Blue», «Waiting on you», «Dance with me girl». Come Bob, Tom canta con voce nasale e soffia duro dentro la sua armonica rauca, come Bob preferisce (per Bob è meglio dire «preferiva») piccoli combos dal suono sporco, chitarre secche e ritmica frastagliata.