C'era da aspettarselo, dopo il grigio dei giorni industriali è arrivato il buio ed il vuoto della città irreale.
Tom Ovans, splendido introverso story-teller dell'umore amaro dell'America post-industriale torna a gracchiare il suo dylanismo alzando il volume e virando a rock il suo lamento.
Industrial Days, prima raccolta della sua collezione di canzoni, aveva stupito per la sinteticità dei mezzi e l'effetto dei versi, raccogliendo la caustica poesia di
James McMurtry e collocandola nell'ambito triste e senza colore delle solitudini urbane.
Un pugno di canzoni, tra cui la splendida
Hallelujah Child, ribadivano il valore dell'essere fine autore e ruvido rocker al di fuori delle mode, delle scene, del tempo. Nashville ci regalava il miglior nuovo attore non protagonista dell'anno, distante dai gesti, dalle abitudini e soprattutto dalla geografia musicale della città. Poco country, un po' di blues e molto street rock, come quello di
Blood On The Tracks o se vogliamo volare più basso, come quello di Lee Clayton.
Unreal City arriva a poca distanza dal precedente disco confermando per filo e per segno le note positive scritte a suo tempo per
Tom Ovans.
Il lessico, invariato, è quello della canzone da strada, cruda e realista, suonata mettendo in primo piano una chitarra acustica e un'armonica ed in secondo lo stridere elettrico di un basso, una chitarra elettrica, un organo, una batteria. Ovvero la strumentazione che ha fatto di
Highway 61 Revisited la bibbia del folk-rock. Trovare nette differenze col primo disco non è cosa facile perché al di là di un indurimento in chiave rock di certe tracce, la prosa musicale di Ovans non è cambiata.
Il maggior tasso elettrico del suo folk lo si avverte nel suono minimale di una chitarra che mima il Lou Reed di New York (
Don't Quit), nell'intro alla U2 di
Concrete Love, nel blues simil-Allman di
High Stake Gamblin' Town. Sono questi e qualche altro i pezzi che segnano un'evoluzione rock di
Tom Ovans, forse le canzoni scritte più di recente visto che
Unreal City raccoglie tracce scritte nel lasso di tempo che va dal 1986 al 1993.
Per questo motivo, per l'elevato numero dei pezzi, quattordici, e per la relativa brevità di alcuni di loro
Unreal City manca dell'unità e della compattezza di
Industrial Days e fa sorgere l'ipotesi di una pubblicazione atta a sfruttare l'interesse coagulatosi recentemente attorno ad Ovans più che ad un vero e proprio secondo disco.