JOHN MELLENCAMP (The Lonesome Jubilee)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Nel progetto ristampe e rimasterizzazioni di John Mellencamp non poteva mancare The Lonesome Jubilee, unanimemente considerato uno dei capolavori di Mellencamp e a ragione visto che si tratta di uno dei suoi album più musicali e innovatori dato i cambiamenti sonori che introdusse. Preceduto dall'agro e sferzante Scarecrow un album dai testi politici e dal suono rock, The Lonesome Jubilee nel 1987 ribadì la strada sociopolitica intrapresa dal nostro e culminata in quel periodo nell'organizzazione del FarmAid ma contemporaneamente allargò gli orizzonti sonori della sua musica inserendovi una forte dose di celtic-roots rock.
Si era all'inizio della seconda metà degli anni '80 e nessuno, tra i grandi rockers americani, aveva osato tanto, riprendere le radici celtiche della musica degli Appalachi, dell'immigrazione scotoirlandese e appiccicarle a canzoni e melodie di stretta osservanza rocknrollistica. Un'operazione che neppure uno dei maestri di Mellencamp, John Fogerty aveva spinto così a fondo quando prima con Willy and The Poorboys e poi con i Blue Ridge Rangers aveva tentato contaminazioni simili. Il risultato fu sorprendente e ancora oggi suona vitale, fresco, coinvolgente anche se sull'onda di quel disco tanti altri hanno tentato operazioni del genere.
Una manciata di canzoni grandiose, dal solido impatto melodico, festose e allegre anche se riguardanti il dilemma sociale attraverso gli aspetti intimi e sentimentali dei, rimpianti, della solidarietà, delle separazioni e dell'amicizia costituiscono il tema di un disco splendido che risuona di echi tradizionali e di rock moderno dove chitarre elettriche, basso e batteria si sposano magistralmente con fisarmoniche, violini, banjo, dulcimer, pedal steel creando una personale fusione di hillibilly, country e rock. Coprodotto con quel mago di Don Gehman, The Lonesome Jubilee è ancora più bello oggi specie se si scava nei brani "minori", in quelle canzoni che al tempo passarono in secondo piano rispetto alle varie Paper In Fire, Check it Out, The Real Life, We Are The People.
Sentitevi allora la ricostruzione di chitarre, violini e controcanto femminile di Empty Hands oppure Down And Out In Paradise, un brano che inizia come un country gotico e poi si infila all'inferno rock grazie ad una batteria, quella di Kenny Aronoff, che al servizio del little bastard fece cose da mille e una notte, mai ripetute con nessun altro. La rimasterizzazione della nuova edizione è ottima, posseggo il vinile originale ma questo cd è un'altra cosa. Purtroppo come nelle altre riedizioni della serie c'è una sola bonus track ma è una bonus track che vale. Blues From The Front Porch è un blues scarno, nello stile country-blues del Delta con una slide sofferta, il violino di Lisa Germano e le voci di Pat Peterson e Crystal Taliefero che aggiungono gospel a un brano che trasuda profondo sud da ogni nota.