Anche se il nuovo disco di Bruce senza la E-Street Band non dovesse soddisfare ed appagare il gusto e i desideri di ognuno di noi, c'è di che consolarsi con
620 W. Surf, primo e straordinario album di
Michael Mc Dermott. Il tipo ha un viso fresco e giovanile, è ombroso e autunnale quanto conviene ad uno Street poet, ha sensibilità da vendere e viene dall'area urbana di Chicago, precisamente dall'indirizzo che titola il disco.
Ama il blues, il cajun e il Midwest, attualmente gira 'acustico' per le coffee house della grande pianura presentandosi come un folkie arrabbiato nato nel post-Nebraska. Un suo pezzo,
Mr. Simmon's Arkansas Christmas Blues parte dove finivano
Highway Patrolman e Nebraska, ovvero dalle terre amare dello sbigottimento e dell'isolamento. La fuga sanguinaria e suicida di Charles Starkweather è servita anche a lui per ripristinare l'orrido senso di vuoto dell'individuo di fronte alla solitudine e alla perdita della comunità. Un'altra canzone sporcata di sangue, un pugno di note fredde corne la sconfitta e la morte. La drammaticità con cui McDermott affronta il tema, conferendogli col suo cantato una dimensione apocalittica, riflette le qualità da grande performer che il rocker di Chicago possiede, ricordando nei modi e nell'enfasi il Bruce giovane, visionario e torrenziale di
Lost In The Flood.
Sono molti gli elementi che accomunano McDermott a Springsteen. Lo stile musicale, l'America silenziosa delle periferie e della disillusione, la voce roca e aspra, regolata sui sogni dell'orgoglio proletario e sul ritmo di un rock elettrico, nervoso, tipico della strada. Analogie marcate che non si limitano all'ex ragazzo del New Jersey, ma includono un'intera generazione di angeli in giubbotto di cuoio. Perché quando compaiono il violino di Don Tenshner e l'accordion di Jack Holder (
Shadow Of The Capitol), la sensazione è quella di essere catapultati nella festa campagnola di
The Lonesome Jubilee con Cougar e amici bastardi. Di suo, direte voi, allora McDermott non ha proprio nulla se non il viso angelico di un nuovo ribelle senza causa.
Se ragionassimo in questo modo dovremmo tagliare più del 50% della discografìa della storia del rock perché, tanto per fare degli esempi che tutti conoscono, Dylan nasce da Wooody Guthrie, Springsteen da Dylan, Cougar da_Springsteen e oggi McDermott, Will T. Massey e James McMurtry da quel piccolo bastardo che è John Mellencamp. Per non dire delle affinità tra i Beatles e i Byrds, tra questi e Petty, tra i Del Fuegos e gli Stones, fra questi e il blues...
Per cui niente paranoie da derivazione, qui non si tratta di scovare i nuovi orizzonti della musica contemporanea, a questo pensano Time Zone, gli asceti del minimalismo elettronico e i professorini del Manifesto. Si tratta invece di capire se un telaio vecchio ed arruginito come quello del rock'n'roll possa nuovamente contenere un motore capace di sbuffare storie credibili, emozioni non plastificate e sana eccitazione corporea. Cosa che invariabilmente succede ad una decina/ventina di dischi all'anno.
620 W. Surf fa parte di questa lista: cinquantaquattro minuti di essenza rock nelle sue componenti di base: il blues straccione dei bianchi senza troppa tecnica, il folk dei senza luogo e senza tempo, le ballate disagevoli di chi continuamente insegue qualcosa e qualcuno, il rock'n'roll sentimentale degli orfani di Presley.