KEVIN SALEM (Ecstatic)
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  Recensione del  31/01/2004
    

"Circa dieci minuti dopo che Glimmer fu pubblicato, cominciai a pensare di lasciare la Roadrunner": come dice lo stesso Kevin Salem, l'esperimento che ha visto un gigante europeo dell'heavy metal provare a seguire le strade tutte americane e rock'n'roll sue e dei Blue Mountain era interessante, ma destinato ad avere vita breve. Non solo, la requisitoria di Kevin Salem contro lo show biz (lui lo chiama così) è tale che lo ha portato a rovinarsi le sue Chuck Taylor, vomitando davanti a chi gli diceva "D'accordo, mi piace la tua musica, ma ho bisogno altri NSYNC". Gli altri dettagli potete leggerli tutti nella home page del sito Future Farmer Records, e sono tanto ironici quanto chiari. Per Kevin Salem si è aperto un nuovo periodo: si è costruito un piccolo studio di registrazione, ha lavorato parecchio su dischi altrui e colonne sonore (si è sposato e ha smesso di fumare, per la cronaca), tornando di volta in volta ad aggiornare il progetto Ecstatic.
Punto di partenza molto differente quindi dagli ancora ottimi Soma City (soprattutto) e Glimmer che, come dice Kevin Salem, sono stati "incisi con la stessa tecnologia disponibile nel 1965". Non che guasti, visto che le chitarre elettriche e gli amplificatori sono come il buon vino (più invecchiano e meglio è), ma l'utilizzo di nuove risorse è una sfida per qualsiasi musicista e anche un rigoroso rock'n'roller come Kevin Salem non poteva evitare il confronto. Ne risulta un disco molto diverso da Soma City e Glimmer, ma anche ricco di spunti interessanti: Ecstatic è una sorta di bozza per il futuro che mostra parecchi pregi notevoli e qualche dubbio. Rispetto al sound chitarristico degli esordi, Kevin Salem propone paesaggi sonori più ricercati, con atmosfere magnetiche e notturne.
Semplificando: più pianoforte e meno chitarre (che comunque hanno un ruolo dignitosissimo in Ecstatic), meno riff e più canzoni, melodie pop (The Medicine Down, Kindness), più attenzione alle voci (in questo Kevin Salem è decisamente ad un altro livello rispetto a Soma City e a Glimmer) e meno agli assoli. C'è qualche caduta di tono (1000 Miles è un bella canzone, ma gli arrangiamenti tra archi, tastiere e fraseggi hip hop sono impossibili), un paio di esperimenti low fi (Jump, Party Song) non particolarmente riusciti, una tirata elettrica degna di Glimmer(Magnetie)e due gioielli che guadagnano a Ecstatic il diritto ad (almeno) un ascolto. Il primo è 1000 Miles suona come un disco di Tom Waits prodotto da Wayne Kramer ed è una delle canzoni più belle scritte da Kevin Salem.
L'altro è Deep dark love ed è un blues psicotico costruito attorno ad una splendida chitarra acustica, ad una batteria rockabilly e ad un inciso chitarristico da urlo. Peccato contenga anche tastiere che sembrano prese dai Soul Coughing (un po' si sentono e un po' no), ma è proprio così che funziona in Ecstatic.