STEVE YOUNG (Primal Young)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Steve Young, una nostra vecchia conoscenza, è sulla breccia da più di trenta anni, da quel disco della A&M, da Seven Bridges Road, da tante piccole avventure finite nel dimenticatoio. Il suo stile di folksinger-country, di autore vero, però non è mai stato contaminato e, dopo anni di silenzio, dopo una serie di lavori abbastanza svogliati, dopo essere praticamente scomparso, dopo essere andato in Nord Europa, dove la buona musica è sempre apprezzata, riappare con un disco che ci lascia bocca aperta.
Sì, Primal Young, è il suo disco più bello, di sempre. Meglio di Rock Salt & Nails ('69), Seven Bridges Road ('72), dei due celebrati album su RCA (Renegade Picker e No Piace to Fall, 76 e 77), meglio di To Satisfy You ('81), di Solo / Live ('91 ) e del recente Switchblades of Love ('93). Primal Young è un disco intenso, profondo, personale, in bilico tra folk e country, blues, rock e gospel, suonato con pochi ma misurati strumenti e cantato con una passione che non ritrovavo in lui da anni.
A 58 anni Young ha costruito il suo capolavoro, il suo testamento musicale, il suo disco da portare sull'isola deserta. Inatteso perché ormai lo consideravano un minore, uno che si era adagiato a fare il loner sia per mancanza di vantaggiosi contratti discografici, che per pochezza di stimoli. Una serie di dischi onesti, ma niente di più. Poi, come fulmine a ciel sereno, ecco Primal Young. L'etichetta è la Appleseed, la stessa dell'ultimo Eric Andersen, la stessa del doppio Cd in tributo a Pete Seeger, un'etichetta coraggiosa che fa incidere artisti folk, rock e world completamente al di fuori da quello che oggi si inventa lo showbiz per essere al passo coi tempi.
Questa è musica d'altri tempi, musica vera, con radici profonde nel folk, e nel blues, nel rock'n'roll, nel gospel e nel country: musica scevra da compromessi, cantata e suonata con una passione straordinaria. Accompagnato da un manipolo di fedeli tra cui citiamo il geniale Van Dyke Parks, ma anche David Kamman, Al Wolovitch, Craig Eastman, JC Crowley, Kim Young, Vem Monnett, Young da il meglio di sé sia come vocalist che come chitarrista, oltre come compositore. Il disco, elettroacustico, è un omaggio alla musica tradizionale americana, ed ha dalla sua un suono splendido, grazie anche alla curatissima produzione di JC Crowley ed ai musicisti sopracitati.
Jig è una ballata tradizionale, ma è di Steve, in cui melodia e nostalgia vanno di pari passo: la ritmica morbida, la pedal steeel, la fisarmonica ed violino creano un tappeto perfetto, e la voce, forte e motivata, domina. Il crescendo, di voce e strumenti, è tanto semplice quanto coinvolgente. Scotland is a Land ha il sapore delle folk ballads tradizionali nord europee, ma filtrata attraverso un suono di matrice americana: l'uso della fisarmonica (Parks) e del violino (Eastman), nobilitano l'intensa melodia. Worker's Song (Handful of Heart) è una folk song di grande impatto: andatura epica, crescendo continuo, melodia potente.
Young richiama Woody Guthrie ma anche cantautori folk di terra d'albione come Richard Thompson. Il brano cresce nota dopo nota, la voce si fa sempre più forte, la musica più profonda. East Virgina è un folkbluegrass (scritto da Steve) che assomiglia ad un brano tradizionale. Pochi strumenti, solo una manciata di chitarre ed il fiddle, tempo veloce, e voce che si distende sulla melodia senza tempo. Blackland Farmer è un classica canzone country, venata fortemente di nostalgia. Il suono è caldo, la base piena, con il violino e la pedal steel (Monnett) che stemperano le loro vibrazioni dietro alla voce forte e sicura.
Mi ricorda dischi di trenta anni fa, per la struttura, la voce impavida, e la minuziosa cura strumentale. In questo disco di Young ci sono forti analogie con l'epica di Johnny Horton, uno dei massimi interpreti della canzone tradizionale americana, sul finire degli anni cinquanta. The Year That Clayton Delaney Died è un country blues sapido tratto dal repertorio di Toni T Hall: versione semplice, suonata in punta di dita, e cantata con il cuore in mano. Lawdy Miss Clawdy era, a tempo, un rock'n'roll eseguito dal nero Lloyd Price (ma l'ha interpretata anche Elvis Presley).
Young si inventa una versione personalissima, rallentando al massimo il tempo e facendola diventare quasi un valzer old fashioned, cantato con voce distesa e suonato alla maniera texana, languido ma senza essere molle. Una rilettura intrigante. Lo stesso si può dire per Sometimes I Dream di Merle Haggard che il nostro interpreta completamente da solo: la country song diventa una folk ballad triste, profonda, interiore. Un lamento notturno, da sentire ad occhi chiusi sognando foreste a perdita d'occhio e immense pianure verdi, solcate da fiumi generosi. Heartbreak Girl è un tuffo nella nostalgia. Lenta, sinuosa, avvolgente, è una struggente country song puntualizzata dalle voci e dalla steel guitar, con le chitarre che fanno da cornice e la melodia che si libra nell'etere.
No Longer Will My Heart Be Truly Breaking riprende il tema della canzone precedente, con un drumming native american style, una voce sospesa, e gli strumenti che stazionano in attesa di un esplosione che non avverrà mai. Chiude la folk song Little Birdie, piccolo gioiello incastonato in una collana preziosa. Steve Young non ha mai inciso un disco di tale bellezza. E questa, dopo una onorevole carriera, è certamentre la sua opera più personale e compiuta. L'opera di un grande artista.