JONO MANSON (Little Big Man)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Ho Incontrato solo una volta Jono Manson, durante un concerto in quel di Gallarate. Il concerto non era il suo, lui era lì per lavorare. Infatti Jono era l'ingegnere del suono di James Talley, e il concerto uno dei due, l'altro è quello di Chiari, da cui è stato tratto lo splendido live Journey. Quando Anna, che era con me e con il marito Paolo e il comune amico Marcello (fine dei titoli di coda), chiese a Jono se voleva farsi una foto ricordo con me, mi travolse un'onda, ma di quelle da mareggiata, di simpatia, umanità e coinvolgimento.
Una grande disponibilità, come se ci si conoscesse da sempre. Ho capito cosa ci faceva lì solo dopo la recensione del cd apparsa sul Busca (so' sveglio, vero?). Mi ha fatto riflettere l'umiltà di questo artista, che ama la musica sopra ogni cosa, e che si mette al "servizio" di un collega con professionalità e senza remore. E fa un lavoro egregio. Poi ho avuto il piacere di recensire Gamblers, il cd in coppia con Paolo Bonfanti, altro rock-nero di cui si dovrebbe parlare di più. Oggi torno a parlare di Jono Manson per la ristampa di Little Big Man, album del 1997 ripubblicato dagli amici della Club De Musique con una rimasterizzazione sopraffina e una bonus track come "omaggio". Il titolo del cd è illuminante sulla qualità del personaggio.
È facile essere ironici e divertenti, difficile essere autoironici. Segno di grande intelligenza, e di consapevolezza di sé senza bisogno di autoincensarsi e compiacersi di sé stesso. Ma quando inizia la musica, Jono Manson fa sul serio. Little Big Man, è lì a dimostrarlo, magnifico nella sua varietà, potente, ruvido e appassionato come solo un vero rocker sa essere. Le iniziali Wish I Could Hear From You e Don't Mind If I Do, sono rollingstoniane nel profondo, soprattutto la prima, e con, nella seconda, il violino di Joe Flood a fare la differenza; la tirata Someday I Will Take My Rest è un indolente rock'n'roll, con il piano a tamburellare in sottofondo. Ariosa e coinvolgente, e Keith Richards e Chuck Berry a far capolino. Gone, Gone, Gone è un r'n'b che fila come un treno. Sure Looks Good To Me è ritmata e tosta.
Splendida e inquietante Under The Gun, ballata tirata, con la drammatica, e perfetta, voce di Jono a cantare un testo dannatamente attuale, raccontando storie di ordinaria violenza, specie in città in cui, anche se nessuna guerra è stata dichiarata, si uccide per un motorino o per uno sguardo di troppo (...babies shooting babies/getting the wrong man/violence in the streets/getting out of hand/people killing each other/'cause they can't get at one/who's got them under the gun). Madman's Sky fa il paio con la precedente, per pathos e drammaticità: un rock teso, scuro, anche se non oscuro. Little Baby abbina una musica roots-country ad un testo da dark song: mamma cocainomane, padre in galera, fratello e sorella non da meno, spacciatori e consumatori, Little Baby non può che arrendersi al blues. C'è una vena soul nella musica di Jono Manson che mi affascina, e che rende i suoi lavori ricchie e vari.
Per esempio A Little Bird Told Me, ondeggiante e appassionante, grande prova da soulman, oppure, anzi ancor di più, You're Making Me Try Too Hard, che mi fa balenare nella mente l'immagine di Marvin Gaye. Grande canzone, da amare. Altro capitolo a parte, le ballate, i cosiddetti lenti, gli slow. Mettete su No String e lasciatevi andare. La pedal steel di Tom Brumley, il mandolino di Joe Flood, e tutto l'insieme rendono magica questa canzone. Uno di quei brani da riascoltare in heavy-rotation. E dopo programmate l'ascolto di Finest Hour, da ascoltare in compagnia, per sfruttarne appieno il potenziale. Ariosa e intensa è Always Will Always Mean You, con l'hammond sullo sfondo e un bellissimo inciso cantato con trasporto da Jono, con il coro a rispondere. Sognante, Holding You Near To Me chiude il cd originario, ed è ancora una ballata forgiata col soul e con l'anima, True Love è l'inedito.
E non poteva essere più gradito dal sottoscritto. Con Curtis Mayfield nel cuore, Jono Manson, coadiuvato da Joe Flood, ci regala una canzone ancora una volta grondante soul, con tanto di piano Wurlitzer e gridolino in ruvido falsetto ad aprire e chiudere. Little Big Man, prodotto da Eric "Roscoe" Ambel, è un album del 1997. Riascoltato oggi, risulta essere un cd del 2004. Perché canzoni simili sono senza tempo.