JONO MANSON (One Horse Town)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Pochi sanno che, se non fosse stalo per Jono Manson, la scena newyorkese delle jam band (cioè Blues Traveler, Spin Doctors sino ai God Street Wine) non avrebbe avuto luogo. È stato Jono, sin dalla metà degli anni ottanta, a scuotere New York con la sua band, Joey Miserable and the Worms, ed ad aprire la strada a questi giovani musicisti. Dieci anni dopo i Blues Traveler hanno reso omaggio a Jono per il suo debutto su major, quell'«Almost home», edito dalla A&M (ma già, purtroppo, fuori catalogo), che è stato recensito positivamente su queste pagine. Ed ora andiamo a parlare di «One horse town», disco che aveva preceduto «Almost home», ma che, almeno in Usa, è girato pochissimo, visto che è stato stampato e distribuito privatamente dallo stesso autore.
Ora l'attiva Club De Musique lo ha messo in catalogo ed il dischetto è una vera delizia per chiunque ami John Hiatt, il suono delle jam band e il rhythm and blues bianco. Jono ha una voce come Hiatt, nera come la pece, e sa comporre ballate che hanno belle aperture melodiche, senza stare a scendere ad inutili compromessi commerciali. «One horse town», edito originariamente nel '94, si avvale della partecipazione straordinaria di John Popper (ascoltate il suo assolo in «Lather, rinse, repeat»), del compianto Nicky Hopkins (si tratta di una delle sue ultime sedute di registrazione), quindi di rodati musicisti di studio come Ian Wallace, Steve Lidnsax, Jeffrex Barr, Doug Moffet, Mark Clark, Sheldon Belmont, Kevin Trainor e Craig Drexer (molto noti sulla scena di NY). Apre l'annerita «It's the singer not the song» con tanto di fiati e grande assolo centrale, «One horse town» è una grande ballata roots, dove la voce del leader gioca un ruolo prominente, e la melodia si stempera su sentieri classicamente americani.
E uno di quei brani che si sentono con immenso piacere, magari guidando nelle highways del west (tanto care a Dave Alvin). «I've been down» è puro rhtyhm and blues bianco, con tanto di fiati e contrappunti chitarristici, mentre «Talk to you» è un'altra grande ballata, una di quelle canzoni che hanno dato l'imprimatur di scrittore/interprete a Manson. Il piano di Jeff Barr e la chitarra dello stesso Jono fanno da trainer per una corposa sezione fiati usata alla maniera di Otis Redding: canzone da ascoltare alla sera, mentre si guarda un bel tramonto. È di quelle che emozionano. Ed il disco prosegue su questa linea, alternando brani anneriti, ma pieni di implicazioni rock, e canzoni dalla melodia più tenue, stemperati su un tappeto di strumenti molto ricco, il tutto giocato sulla voce calda ed espressiva di Jono.
Molte belle anche «Island», dalle tonalità caraibiche (con bell'intervento di Popper), «Black blue jeans», con un grande Nicky Hopkins, «Lather, rinse, repeat», con un formidabile Popper, «Move along» struggente ballatona soul, la mossa «Too through with you» e la lenta ed interiore «And we danced». Chiude il disco in bellezza la bluesata, e c'è ancora Popper, «Halloweed ground». Jono Manson è uno da riscoprire e forse è questa la volta buona: «One horse town» è, sino ad oggi, il suo disco più riuscito.