Questo è lo show che vorrei vedere domani sera. Basta la copertina, (amplificatori e strumenti chiusi nelle loro casse accatastati vicino ad una backstage door e pronti all'uso) per capire che lo show sarà caldo ed eccitante, che la notte sarà piena del miglior rock'n'roll, che le canzoni faranno trepidare e manderanno in giubilo il piccolo mondo della provincia americana.
G.B. Leighton è l'ultimo santo arrivato in città e poco importa se la sua città è una sperduta suburbia di Minneapolis.
Sul palco del Bunkers una taverna-birreria come ce ne sono tante in giro per il mondo (ma solo negli States ci fanno musica come questa) GB Leighton è un animale del rock'n'roll, di quelli che impavidi iniziano con «
Sweet Jane» e immediatamente vi catapultano nel vivo di un concerto, facendovi benedire di esserci. Sembravano finiti i tempi di simili prodigi ed invece GB leighton, con una band che ha il tiro della Silver Bullet Band prima che Bob Seger li mandasse dal coiffeur, inventa un evento che è un Titanic di energia, di gioia e di musica.
I dischi degli anni '70 di Bob Seger devono, in qualche modo, essere passati da casa Leighton perché altrimenti non si spiegherebbe questo connubio di cruda essenza rock e di abilità nello scrivere e cantare pezzi («
True To Love», «
Love For Sale» ad esempio) che hanno l'appeal e la magia del sixty-hit, quando le canzoni avevano la capacità di fare sognare e «made to fall in love».
GB Leighton è la dimostrazione della semplicità come bellezza, del rock e se volete anche della vera arte. Non c'è bisogno di grandi apparati tecnologici, di «gigantografie» culturali ed estetiche, basta un artista vivace, intelligente, che canti come usava fare Southside Johnny nel Jersey Shore, che «diriga» una band come la E-Street Band di The wild and The Innocent, che, senza essere uno Springsteen o uno Steve Earle, scriva della real life con quei versi e con quelle parole in cui tutti possano specchiarsi e quindi, in qualche modo, appropriarsene. L'arte della canzone non è una cosa che si impara ma occorre, comunque, crederci e non separarla dal contesto del proprio mondo, del proprio pubblico, della comunità in cui si vive. Presley è andato in pappa quando si è isolato.
GB Leighton si è invece costruito al di fuori del supermarket della musica, è un piccolo bluecollarhero di provincia che con due dischi autoprodotti («
One Time, One Life» e «
Comes Alive») si è preparato a questo irrinunciabile e vitalissimo
Live From Pickle Park. Lo aiutano una band rodata ai fumi e agli umori del boogie-bar, fatta di un chitarrista (
Luke Kramer), di un organista e pianista di gran classe (
Buzz Brady), di un bassista (
Johnny Vincent) e della doppia sezione ritmi del batterista
Randy Baugher e del percussionista
Tony Kamana. Una band dal suono corposo e maturo, con le chitarre (c'è anche quella di Leighton) che si amalgamano alle tastiere e alla potente sezione ritmica, creando quel sound duro e romantico che «girava» nella EastCoast ai tempi di The River.
Che la storia sia capace di guardare indietro e di ripetersi, a volte, è una salvezza perché tra il futuro techno-aracnèo dei Prodigy ed il passatismo provinciale di
GB Leighton io preferisco il presente di
Live From Pickle Park ovvero rock allo stato puro senza le interferenze dell'industria discografica. Non è questione di età ma di emozioni e questo Live ne trasmette parecchie, tanto da farvi sentire lì in mezzo alla folla del Bunkers a cantare e ballare insieme agli altri.
Live From Pickle Park è costituito da tredici canzoni è un surrogato di come suoni una bar-boogie band quando è in forma e giochi in casa. L'inizio è un missile, «
Sweet Jane» suona prepotente, metropolitana ed è in versione smagliante, la miglior dopo naturalmente l'originale e quella che i Mats di Denti e Boerchio suonano, con il sottoscritto come singer, ai matrimoni e ai compleanni degli amici. Scherzi a parte, «
Sweet Jane» è come un full servito in mano ad una partita di poker.
E solo l'inizio perché la seguente «
Love For Sale», già apparsa con altro materiale qui presente in
Comes Alive, è un tuffo al cuore con quella armonica springsteeniana, quel piano e quell'organo che abbracciano i sensi e quella melodia che mette a nudo il battito cardiaco. E una dichiarazione d'amore che va a braccetto con «
True To Love», altra perfetta definizione di popsong. Fresca, ariosa e positiva, da una parte va di romanticismo e dall'altra sfrutta un lavoro chitarristico che, al contrario, morde ruvido e stradaiolo. «
I'm Seventeen» è invece un minor-teen-hit dai modi spicci e punk che arriva dalla penna di Tom Conwell. Altro ribelle del nuovo blue-collar rock.
E la seconda cover dello show, dopo il classico di Lou Reed e la rivisitazione di «
Hey Baby», una canzone di Cobb and Channel che scodinzola attorno allo stile delle radio A.M. dei Sixties. Ha il taglio del 45 giri, ha soul e appeal, oggi finirebbe in uno spot pubblicitario, un tempo andava a pennello per sedurre qualcuna. Fa parte con «
Man In The Moon», «
From Now On» e «
One Foot Over» del lato più melodico di GB Leighton, quello in cui la sua voce è meno arrochita ed il suo innocente songwriting in evidenza. Ma GB Leighton è soprattutto uno Street-rocker che affonda, con una slide, nel rhythm and blues alla John Hiatt di «
Contradiction» e scatena la platea con la devastante sequenza di «
Cruisin», «
Baby» e «
Shag».
Il primo è un rockaccio che mette insieme il rullo compressore della Silver Bullet band e la furia sudista dei Geòrgia Satellites, il secondo si apre con la chitarra acustica e poi diventa una rock-ballad da American Babylon e «
shag» è una sbronza collettiva di contagiosa energia in cui tutti cantano e aspettano che il ritmo da «
Sympathy For The Devil» afro-cubana con cui parte il pezzo si apra a chitarre e piano e finisca in un'apoteosi rock. È la degna fine di un disco che ha feeling da vendere e che fa venir addosso la voglia di suonare in una rock'n'roll band. Come ai tempi di «
Rosalita».