Il nuovo album di Lauderdale è quanto di più perfetto si possa usare oggi per definire il termine di country progressivo. Con questa lapidaria frase potrei aver già finito il mio compito di recensore e chi mi conosce o magari ha già apprezzato il precedente «
Planet Of Love» può anche risparmiarsi la fatica di leggere le successive righe ed accostarsi tranquillamente al secondo album del simpatico Jim. Autore raffinato come pochi, apprezzato da colleghi blasonati come George Strait e Patty Loveless (ma recentemente anche John Mayall ha inciso una sua canzone), dotato di voce animata da autentica passione è capace di adottare un manierismo locale da leggende musicali come Hank Williams, Ricky Nelson e Gram Parsons.
Le sue composizioni sono un efficace amalgama di neotradizionalismo, rhythm & blues, jingle-jangle sound, soul e r'n'r ottimamente supportato da quei magnifici musicisti della città a sud di Bakersfield che abbiamo già apprezzato al servizio di altri nostri beniamini quali Lucinda Williams, Rosie Flores e Tom Russell. Mi riferisco a Dusty Wakerman, Gurf Morlix, Donald Lindley, Greg Leisz e Buddy Miller. Definire la sua musica country mi sembra dunque molto riduttivo anche se certamente è ancorata saldamente alle sue radici, quelle migliori, ma capace di risultare fresco, molto attuale e, perché no, anche innovativo. Certamente è adatto ad un pubblico maggiormente attento di quello del mainstream country (senza offesa).
La sua si potrebbe definire country music per chi non ama il country, per coloro la cui conoscenza del country si ferma a Gram Parsons ed ai Byrds di «Sweetheart» o per quelli che continuano a credere che gli Eagles, Jackson Browne e Neil Young suonino country. Per gli estimatori di Lucinda Williams, Tom Russell, Joe Ely, Kevin Welch e Dwight Yoakam questo è invece un autentico distillate doc, un buon bourbon.