JOHN TRUDELL (Bone Days)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  26/02/2004
    

È grazie ad Angelina Jolie, una che alle grazie naturali ci ha aggiunto anche qualche idea tutta sua, che John Trudell riesce a dare un seguito a Blue Indians. È proprio lei (evidentemente il rock'n'roll è di casa, con Billy Bob Thornton) a necessario perché Bone Days veda finalmente la luce. Cifra più, cifra meno, a lei non cambierà nulla, ma per John Trudell, per i Bad Dog e per chi li ha sempre seguiti, Bone Days è una grande conquista. L'intenzione iniziale e primaria di John Trudell (mischiare il rock'n'roll con i suoni tradizionali nativi) trova qui una sintesi in qualche modo definitiva, perché Bone Days non è solo un disco magnifico, ma il suo miglior lavoro di sempre.
Molto si deve al grande sforzo collettivo, ovvero all'apporto dei Bad Dog che in Bone Days non si limitano a suonare (benissimo, tra l'altro) le chitarre le tastiere o le percussioni, ma assecondano la voce narrante di John Trudell e i canti nativi dell'immancabile e insostituibile Quiltman. Un gruppo consolidato da anni di pratica dal vivo ed anche da una consolidata frequentazione che in Bone Days sembra trovare la quintessenza della propria musica e una sua voce propria. Infatti, mai prima d'ora, un disco di John Trudell era risultato così variegato e colorito, tanto che a tratti la sua voce sembra davvero quella di un cantante, cosa che proprio non è mai stato. A sorpresa saltano fuori veri e propri numeri soulful come Ever Get The Blues o Doesn't Hurt Anymore, quest'ultima tanto languida da sembrare una ballata di John Hiatt, con gli strumenti (finalmente) allo stesso livello della voce.
Ciò non toglie niente ai versi durissimi e attuali e sempre polemici (per fortuna) di John Trudell che alza il tiro fin dall'inizio, con Crazy Horse. Suggestiva e ipnotica, con la voce di Quiltman ispiratissima, le tastiere in sottofondo e le chitarre che rumoreggiano in sottofondo, taglia l'aria ad un mondo che ha deciso di vendere tutto, senza averne diritto, e non ci vuole molto ad essere in sintonia con le parole di John Trudell. Dall'altra parte, altrettanto dura e simbolica, Hanging From The Cross, con chitarre acidissime e urlanti a dividersi lo spazio con background vocals femminili, chiude Bone Days, un album che in comune con l'attuale industria discografica e relativo stardom System ha soltanto il compact disc su cui è inciso.
Perché sa essere dolcissimo nei suoni (Other Close Times è una grande ballata e il fatto che John Trudell la reciti invece di cantarla, non cambia nulla), rarefatto e raffinato negli arrangiamenti (per essere magica ad Undercurrent bastano una fisarmonica ed una voce femminile), quanto duro, coerente, lineare, compatto nelle parole e nella voce di John Trudell.
Un disco eccezionale, in tutti i sensi.