PETER HIMMELMAN (Flown this Acid World)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  30/01/2004
    

Sono andato a cercare questo disco perché David Grissom lo ha messo nella sua classifica. David, già chitarrista con Joe Ely e John Mellencamp, ha un po' i miei gusti, quando è stato in Italia abbiamo scambiato parecchio, e mi ha incuriosito non poco con questa sua citazione. Ho fatto ricerche su Peter Himmelman ed ho scoperto che non è un novellino. È originario di Minneapolis, dove ha debuttato come leader dei Sussman Lawrence, quindi ha lasciato la band, o meglio è diventato un solista e gli altri del gruppo (tre su quattro) lo hanno seguito disco dopo disco: coi Sussman Lawrence ha inciso due dischi in quattro anni, come solista cinque in sei anni.
È un musicista completo ed adulto: le fonti di ispirazione, Costello e Joe Jackson all'inizio, sono via via mutate in Graham Parker, Billy Joel, Springsteen, Dylan e Petty. Ora Himmelman è un rocker completo, sa comporre ottime ballate, è molto influenzato dal folk (e talvolta dal country) ed ha inciso almeno quattro dischi degni di nota: gli introvabili «This father's day» e «Synestesia», l'ottimo «From strengh to strengh» ('91) e questo «Flown this acid world» (92). Il suo microcosmo è vario ed interessante, i testi riguardano molto la sua vita, i genitori, la giovinezza, il primo amore, le disillusioni e l'immobilità sociale. Spesso c'è amarezza nei suoi versi, ogni tanto dei bagliori di speranza; Himmelman vive i nostri tempi e cerca di descriverli con un taglio diretto.
E la musica, varia a piena di soluzioni intelligenti, sta tra il folk ed il rock d'autore, tra il costellismo e il migliore Parker, tra Dylan ed il Boss, senza però essere figlia di nessuno. Peter sa creare dei riff propri, sa intagliare le sue melodie attorno ai testi, sa costruire canzoni che si fanno ascoltare e riascoltare e «Flown this acid world» né è l'esempio lampante, come d'altronde l'ottimo predecessore «From strengh to strengh» (in cui basta ascoltare l'accordo dylaniano nell'iniziale «Walk on» o la musicalità totale di «Impermanent things», per capire di che pasta è fatto).