JOHN HIATT (The Best Of)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Un best di John Hiatt è quanto mai appropriato per raccogliere alcune delle canzoni di uno dei migliori talenti d'autore del rock americano. Ho risentito gli album da cui queste canzoni sono tratte, Bring the family e Slow Turning, Stolen Moments, Perfectly good guitar e Walk on ed ancora mi sono convinto che come autore John Hiatt è un fuoriclasse, uno scrittore come ce ne sono pochi nel panorama attuale ma anche come cantante e performer non è da meno perché la totalità delle canzoni qui riproposte resiste, sia in termini di sound che di arrangiamenti ed interpretazione, al tempo.
Sono cioè dei classici. The best of è il secondo greatest hits di John Hiatt (Y'all Caught? si riferisce agli anni Geffen tra il '79 e l'85) e raccoglie il materiale inciso per la A&M, più la title track di Riding with the king (album, questo, uscito per la Geffen), due inediti (Don't know much about love e Love in flames) e un paio di brani dell'autore mai comparsi sui suoi album in studio. Va detto che la maggior pare del materiale non ha subito modifiche ed è sostanzialmente come si presentava nei dischi originali ma qualcosa è stato riregistrato ex novo, ad esempio Have a little faith, Drive south e Angel eyes coscritta con Fred Koeller e, originariamente, interpretata da Jeff Healy nel suo album d'esordio See the light.
La prima ha subito un trattamento soul con l'aggiunta di una coreografia orchestrale dove brillano il piano, l'hammond e un backing femminile di suggestione gospel. Il risultato è una versione da brividi, corale e piena di sentimento, nera fino al midollo e parente stretta di Leap of faith. Drive south ballata stupenda, completamente rivista, ha un groove sanguigno che tira direttamente a Sud, la chitarra elettrica fa da sfondo ma è epica mentre un mandolino malizioso disegna quadretti di America rurale. Angel Eyes è una grande lovesong di umore bluesy.
Tutte e tre sono grandi canzoni e mettono a fuoco lo stile di Hiatt, un miscuglio di rock memphisiano, di Rhythm and Blues, di letteratura southern e di grandissima canzone d'autore. Hiatt col tempo ha maturato una voce «negroide» e calda che si appiccica bene al suo sound potente e grintoso che vive sulle chitarre e su un ritmo marcato e che, in parecchie tracce, è attraversato dal piano o dall'inconfondibile suono dell'hammond. L'act di John Hiatt è una delle prelibatezze del rock americano e questo The best of lo sta a dimostrare, se qualcuno è a corto dei suoi dischi questo è un album a dir poco irrinunciabile.
Contiene A thing called love e Memphis in the meantime dello straordinario Bring the family, con Ry Cooder, Nick Lowe e Jim Keltner come compagni di ventura, Slow turning, la ritmatissima (tra una square-dance e Pink Cadillac) Tennesse Plates e la romanticissima Feels Like Rain, il cui finale sembra una ballata degli Stones di Black and Blue, dall'altrettanto riuscito Slow Turning registrato coi Goners, una band perfetta nel cogliere gli umori delle strade e delle paludi del profondo Sud.
Riding withe the king è il pezzo più vecchio del Best (1983), ha il fiato delle migliori incisioni della Stax e proviene dall'omonimo album, Child of the wild Blue Yonder è preso dal romantico ed intimista Stolen Moments e Buffalo river home e Perfectly good guitar arrivano dall'album più rabbioso, chitarristico e grungy di Hiatt. Cry Love è l'unica canzone del sereno e pastorale Walk On ed è un vero peccato che sia la sola perché quell'album del 1995 non ha avuto il giusto risalto di pubblico e sia la title track, sia la rude Good as she could be, sia The river knows your name o Native son avrebbero meritato una convocazione. Ma Walk on e Little head del quale manca qualsiasi pezzo, sono dischi troppo recenti per finire in un Best e John Hiatt, che ha curato personalmente il progetto al Tongue and Groove studios di Philadelphia, ha preferito omettere il materiale più recente.
Di Angel Eyes abbiamo già detto, era inclusa in Comes alive at Budokan e The way we make a broken heart è un country-soul con controcanto di Rosanne Cash femminile e xylofono che probabilmente faceva parte di qualche soundtrack. Poco da dire di Take off your uniform, una pop-song che sa del John Hiatt del periodo Geffen e che, personalmente, avrei sostituito con qualcosa d'altro (ve la ricordate la sferzante Georgia Rae oppure Alone in the dark o ancora Real fine love e Seven Little Indians). Love in flames, uno dei due inediti è lenta, sofferta e avvolgente e ha una chitarra distorta molto evocativa, l'altro inedito, Don't know much about love, ha ritmo e mandolino, i Persuasions come vocal backup e la voce calda come un forno di Hiatt.
Sembra una outtake dell'ultimo Little head. Come già scritto questo Best of può essere superfluo per chi ha la discografia completa di Hiatt e non vuole essere tentato da inediti e ri-registrati, diventa fondamentale per tutti gli altri.