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Finalmente è disponibile il capolavoro di
Joe Henry, uno dei nostri cantautori favoriti. La Mammoth, la sua attuale etichetta, ha ristampato questo splendido disco del 1990 e anche l'album precedente, «
Murder of crows» del 1989. «
Shuffletown», riascoltato oggi, rimane un disco di grande qualità: è il migliore di Joe, non tanto a livello compositivo, guanto per la produzione di T-Bone Burnett. Burnett ha fatto un lavoro raffinato dando a Joe un suono estremamente nitido, usando jazzisti di nome, modellando gli strumenti attorno alle spoglie ballate dell'autore.
Compositivamente parlando questo disco non è superiore ai due seguenti, cioè «
Short man's room» e «
Kindness of the world» ma dal punto di vista del suono indubbiamente lo è. Riascoltato oggi, con cinque anni sulle spalle, «
Shuffletown» suona talmente attuale e moderno che potrebbe benissimo essere stato inciso solo qualche mese fa. Le canzoni, amare e malinconiche, tragiche ed autunnali, sono quelle che hanno imposto Joe alla critica internazionale: piuttosto, rispetto ai due dischi più recenti, non c'è ancora quel connubio con la musica country, che Henry ha assorbito dopo avere incontrato i Jayhawks, ed il lavoro rimane decisamente in un ambito più urbano.
Ballate spoglie, ben sostenute dal basso acustico di
Cecil McBee, dal lavoro preciso su strumenti a corda di
David Mansfield, dalla tromba aguzza di
Don Cherry (inimitabile in «
Date for church»), dalle tastiere di
Phil Kelly e da altri strumenti di contorno nelle mani di gente come lo stesso Burnett, Charlie Giordano, Michael Blair. Grande disco quindi, che il tempo non ha scalfito minimamente, grandi canzoni, secche e tristi, piene di pathos e di poesia, liricamente impeccabili.