HANGDOGS (East of Yesterday)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  30/01/2004
    

Newyorkesi, i quattro Hangdogs sono come dei pesci fuor d'acqua nello loro città. infatti la grande mela non è certo propensa a produrre gruppi roots rock, bensì musica di tendenza, dance, hip hop, trip pop, jungle, dub, ed altre amenità che, una volta ascoltate, si buttano via immediatamente. La musica di questo quartetto, per contro, è solida e duratura, ed ha l'imprimatur delle grandi band delle decadi precedenti e se la voglia e la fortuna (ce ne vuole sempre un pò '), li sosterranno, avremo certamente ancora grandi dischi da questa band.
Sono solidi e grintosi, suonano rock e lo venano con country e rockabilly, ma la loro ossatura è quella di una rock band consumata. Matthew «Banger» Grimm, voce solista e principale compositore del gruppo, Kevin Baier, batteria, compositore in seconda, Automatic Slim, chitarre varie, JC Chimiel, basso: questa la formazione del quartetto. Hanno esordito nel 1995 con l'eccellente mini album «Same old story» e sono stati tra i primi a tenere a battesimo questa rubrica. Ora, dopo due anni di attesa ecco, finalmente, il disco adulto, l'album.
«East of yesterday» dura più di quaranta minuti, è solido e corposo e ci presenta uno dei migliori (forse il migliore) gruppi roots in azione. L'album è prodotto da una nostra vecchia conoscenza, Bruce Henderson, ed ha un suono decisamente più maturo rispetto all'Ep. Henderson ha curato maggiormente le armonie vocali ed ha dato al suono una quadratura più professionale. La voce di Grimm, roca al punto giusto, è l'ago della bilancia per una serie di ballate degne di una band nata in Texas e non sotto i grattacieli della grande mela, mentre il resto del gruppo, rodato e maturo, suona con consumata esperienza. Il risultato è il primo disco a cui diamo quattro stelle in questo neonato 1998.
L'album è stato edito alla fine di dicembre e, solo per un soffio, non siamo riusciti a proporvelo già sul numero precedente. Musica sana, robusta e corroborante, piena di feeling e dotata di notevoli aperture melodiche, con le chitarre sempre vigili ed una sezione ritmica dura, ma mai oltre il consentito. Gli Hangdogs da speranza si sono mutati in realtà, una bella realtà. Non ci sono gruppi, che incidono su major, che hanno questo suono, che hanno questa forza espressiva, questa continuità compositiva: il settore indie sta migliorando a vista d'occhio, come dimostra anche la fattura del disco, inciso in modo impeccabile, prodotto benissimo e, perché no, dotato anche di una parte grafica professionale. Le canzoni.
«Once more's gone» è una ballatona elettrica sfiorata dal country, cantata con voce penetrante da Grimm, con l'organo di Charlie Giordano che da maggiore profondità al tutto. Ottimo inizio: la canzone prende subito, le chitarre sono affilate al punto giusto ed il Texas fa capolino dietro ad ogni nota. «Hej, Janeane» è più dura, rievoca gli anni cinquanta, quando il country non era ancora invischiato nelle pastoie di Nashville: ritmo deciso, voce potente, strumenti in tiro.
Grinta e mestiere: già, perché i nostri Hangdogs sono ormai consumati rockers, l'esperienza on the road da i suoi frutti e la band ha un suono assolutamente compatto. «Speed rack» è una ballata coinvolgente, aiutata dalla steel guitar di Tom Camp, cantata da Grimm con voce aperta: rieccheggia il West, le sue praterie. Un pò come i Red Dirt Rangers anche questo quartetto è depositorario di un suono classico, molto anni settanta, che però, rispetto, ai Rangers è maggiormente orientato al country. «Drift» è tutta giocata su un suono di chitarre che si incrociano, la voce è sempre più espressiva, il tempo è sempre lento e la ballata ha un andamento maestoso.
Canzone d'altri tempi, suonata con piglio fiero ed assoluta padronanza degli strumenti. Anche qui c'è il sapore del vecchio West, mentre la voce viene evidenziata da un gioco di chitarre molto preciso. «Something left to save ....» è di nuovo elettrica: puro roots rock, con le percussioni di Albert Caiate a dare più forza al brano.
«The ring» è una canzone bandiera del nuovo movimento roots rock: ricorda Backsliders e Two Bollar Pistols, ha il classico passo cadenzato del country rock, ed il violino in lontananza (Joe Flood) da al al brano un che di malinconico, di struggente. Splendida, da ascoltare ad occhi chiusi pensando magari di non esser a casa propria ma in un luogo a cielo aperto circondato da campi a perdita d'occhio. Tra le più belle del disco. «I'd call to say I love you» è puro romanticismo in stile country.
Classica canzone western, apre i suoi orizzonti su una melodia distesa che gioca tutte le sue carte su un ritornello convincente. Notevole la parte centrale di chitarra che, come in tutto il disco, è opera dell'esperto Automatic Slim. «The man with the plants that went away» è una sorta di abbecedario del country rock, parte da Hank Williams per arrivare, attraverso Lefty Frizzell e Buck Owens, al compianto Johnny Horm. Classica ballad elettrica, potente èl suono, ha una sua linea melodica definita e una freschezza di fondo invidiabile. Bruce Henderson appare alla chitarra.
«High and dry», in cui c'è ancora il violino di Flood, è nostalgica e molto coinvolgente: sembra uscita da un vecchio vinile scricchiolante ed ha il sapore delle cose di un tempo. «In my dreams» è un'isola acustica e felice: Grimm canta in coppia con Barbara Broussal e la ballata, soffice e piacevole, si dipana sull'antagonismo tra le due voci. Chiude il disco l'ironica, ma decisamente swingata, «They don't play no country on the East side of New York».
Una canzone che è un po' una storia di vita, la vita degli Hangdogs.
Grande disco, sano e corroborante. Per iniziare bene il nuovo anno.