JOE GRUSHECKY AND THE HOUSEROCKERS (Comin' Home)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  30/01/2004
    

Ciò di cui vi sto per parlare e una advanced-release tape dell'ultimo lavoro discografico di Joe Grushecky e dei suoi fidi Houserockers. Dopo aver intervistato Joe ed avere assistito a due concerti estivi in cui la band promuoveva alcune delle nuove canzoni. Joe in persona ha voluto ordinarmi una cassetta dell'album e mi ha poi chiesto di comunicargli le mie impressioni. L'ho fatto ed il risultato è stato una piccola recensione in anteprima per il giornale.
Lontano anni luce dall'aria tronfia che il suo entourage aveva immediatamente adottato all'indomani di «American Babylon», disco che ha visto la presenza massiccia di Bruce Springsteen in veste di produttore, chitarrista e cantante, la band si è rimessa al lavoro per dare vita alle nuove idee musicali di Joe. Molto interessanti e, soprattutto, personali. «Coming Home», questo dovrebbe essere il titolo del disco, almeno a detta di Joe, ma potrebbe tranquillamente cambiare, vede ancora la partecipazione di Bruce ai cori e in qualche parte di chitarra, in un paio canzoni, ma è ormai evidente che qualunque sia stato lo spirito con il quale Bruce e Joe abbiano collaborato, Mr. Grushecky ha capito che di Bruce ne basta uno. Il disco si apre con una composizione dal titolo «Everything's gonna work out fine».
L'atmosfera è quella giusta, sembra di essere tornati ai tempi di «End of the century», piccolo capolavoro personale di Joe, e un bel contrappunto di armonica assieme ad un assolo di chitarra tanto elementare, nel ricalcare la linea melodica, quanto arioso nel suo fraseggio ci restituisce il miglior Grushecky degli ultimi 5-6 anni. Questa bella sensazione di soddisfazione viene bissata da «1945», il primo brano del disco che vede i credits equamente divisi tra Joe e Bruce. La canzone ha un testo, scritto da Joe, che riguarda la seconda guerra mondiale, periodo in cui Nonno Grushecky raggiunse le sponde dell'oceano Atlantico proveniente dalla natia Germania.
La musica, contributo di Bruce, è meravigliosa. Una bella melodia e un delizioso riff di chitarra acustica presente nel ritornello fanno sì che canticchierete questa canzoncina fino alla noia senza riuscire a farla uscire dalla testa. La forma della song è una ballata ed il brano termina con una piccola citazione fiatistica di «In the mood» tanto per inquadrare il periodo storico al quale il testo si rifa. «If a a hell of a life» è di nuovo un mid-tempo ed è una bella canzone in cui il tipico fraseggio di Joe la fa da padrone ma è troppo simile a mio avviso, ad alcune cose contenute in «American Babylon» (mi fa pensare troppo da vicino a «Labour of Love» n.d.a.). «Gone but not forgotten» per contro è una piccola perla che consiglierei di ascoltare a qualunque animo inquieto. Parte con lo stesso giro di basso, che prosegue per tutta la canzone, di «Into the Mystic» di Van Morrison e sviluppa, in ordine: A) Una bella progressione armonica B) Una bella melodia. La canzone è piena di pathos e la voce di Joe è in gran forma. «Cheap Motel» è il brano di punta del disco, almeno nelle intenzioni di Joe.
Bruce è presente alla chitarra, un assolo breve ma efficace e il suo classico suono per colmare i vuoti, ai cori e, forse, il mandolino. L'atmosfera del brano è uggiosa e sebbene ricordi molto da vicino le atmosfere di «American Babylon» la composizione raggiunge il suo scopo. Per i meno immaginari tra voi l'impressione che il brano mi ha dato è quella di una tipica ballad di Bruce cantata da Elliott Murphy. «I'm not sleeping» è l'ennesimo mid-tempo del disco. Gli Houserockers sugli scudi e tanta energia. A questo punto? A questo punto, devo chiedervi di rilassarvi perché è il turno del capolavoro del disco, a mio modesto parere. «Soul Survivor», non so se sia stata composta con Bruce o meno, è da cinque stelle.
Il brano è spartano e una chitarra acustica cuce tutta la canzone, dalla prima all'ultima nota, e su questo tessuto la voce di un fratello negro, potrebbe essere Bobby King, alterna contrappunti alla voce di Joe a delle frasi di basso, come nella migliore tradizione gospel. Un capolavoro. «Idiot's delight», ennesimo brano scritto a quattro mani con il Boss, è, più che altro, un divertissement. Una canzone a metà tra il talkin' blues ed il beat degli anni '60 («if you gotta go» di Bob Dylan mi sembra l'esempio più vicino) che I due compari si sono divertiti a scrivere e che è piaciuta talmente tanto ad un amico del Boss, tale Vin Scelsa, che lo spettacolo, americano naturalmente, intitolato «Vin Scelsa Show» ha questa canzone come sigla. «Cigarettes'n' Gin» con un bel dobro presente in tutta la canzone rappresenta il lato più bluesy di Joe e ci traghetta con un certo carattere verso «Touch the rain», mid-tempo in cui il nostro ci parla, non senza un pizzico di rimpianto nella voce, del tempo passato che non tornerà mai più e ci lascia ascoltare un bel coro di fratelli neri.
Un Grushecky eracliteo, in altre parole. «Hola mi amigo» possiede una ritmica possente tutta giocata tra chitarra acustica e batteria che sembra suonare «Who do you love» di Bo Diddley. Come al solito un bell'Hammond che entra a metà canzone fa la differenza e ribadisce ancora una volta che questo strumento se non il Re è certamente il principe del Rock. «In our little room» vede Joe alle prese con il classico soggetto dell'amore eterno e nella classica forma ballata, con tanto di coro paradisiaco, lo sentiamo fare tutte le promesse che un buon innamorato dovrebbe fare alla propria donna. Il penultimo brano del nastro di cui sono in possesso, ma l'ultimo del disco «Coming Home», si intitola «Innocence is beautiful» e vede Joe impegnato in una sorta di dolce ninnananna dedicata alla figlia in cui giurerei di aver riconosciuto il violino e la voce di Suzy Tyrell, buona amica di famiglia del Boss.
Con questo dolce episodio acustico si conclude il disco ma non il nastro di rough-mixes di cui sono in possesso che infatti termina con la rivisitazione al calore bianco operata da Joe ed I suoi pards di uno dei più scatenati brani di sua maestà Bruce Springsteen: «Light of day». Al momento in cui questo articolo sarà tra le vostre mani non solo la cover di «Light of Day» sarà certamente disponibile nel tributo «One step up/Two steps back» ma anche il disco, previsto nei negozi per il 5 Novembre, dovrebbe avervi raggiunto. Io vi auguro buon ascolto e vi annuncio che il mese prossimo il «Busca» ha una bella intervista con Joe in serbo per voi.