JOE GRUSHECKY AND THE HOUSEROCKERS (Swimming with the Sharks)
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  Recensione del  30/01/2004
    

Quando Pittsburgh in Pennsylvania costituiva uno dei centri della siderurgia USA, le notti della città erano riscaldate da un quintetto di "tute blu" conosciuto come Iron City Houserockers. Musica forte e hard, venata di blues, parente stretta di quella del vicino Jersey Shore, riassunta nel loro cavallo di battaglia Pumpin'Iron, pompando ferro, inno cittadino per alleviare le frustrazioni dei tanti giovani costretti a dividersi tra gli altiforni del giorno e la sbronza serale.
Poi, improvvisamente, all'inizio degli anni '80, con la crisi industriale, la siderurgia, a Pittsburgh, va in tilt sostituita dall'elettronica fine che prende il sopravvento nell'economia della città. Gli Iron City Houserockers perdono il "ferro" per strada e divengono più semplicemente, come Houserockers, la band di accompagnamento del loro cantante, il polacco Joe Grushecky, splendido rappresentante di quello che in gergo viene chiamato Blue Collar Rock. Ossia una miscela ad alto concentrato emotivo e sudorifero di gesto ruvido in chiave musicale. Rock'n'roll, blues ed una buona dose di r&b da sassofono sguaiato, il tutto condito con delle liriche amare e battute, romanticamente disperate, scritte sui cofani delle vecchie Chevy o in qualche scalcagnato motel della Interstate. Una leggenda, insomma, capace di catapultarti, nei casi più fortunati, un rozzo ma sensibile ragazzotto di provincia di nome Bruce a quasi presidente degli Stati Uniti.
Per uno che ce la fa, altri cento soccombono o nei casi migliori rimangono a casa, nella città natale, sbarcando il lunario con dischi difficili da reperire e trecento concerti all'anno in bar per motociclisti e camionisti in vena di infilare un biglietto da dieci dollari nello slip di qualche procace ballerina. Un miracolo, quindi, avere di nuovo Joe Grushecky in pista, non ancora alcolizzato e coi nervi allo sfascio. Dopo l'avventura con gli Iron City Houserockers, Swimming With The Sharks è il suo secondo lavoro solista, preceduto qualche anno fa da Rock And Real pubblicato dalla stessa Rounder. Accompagnato dal fido bassista Art Nardini degli originali Houserockers e da quattro altri musicisti (una chitarra, due percussioni ed una tastiera) costituenti l'attuale line-up della band, Joe Grushecky scandaglia il fondo del proprio "realismo rock" proponendo una matura interpretazione della difficile arte della sopravvivenza nel grande circo pop.
Ciò che viene alla luce è un commovente, ma non patetico, No Surrender ribadito con le armi del caso: riff secchi di hard-rock, ritmi serrati e cattivi rhythm&blues, ballate che fanno la spola tra Springsteen ed il giovane Seger, una voce rabbiosa e negroide, che quando urla ricorda lo "sporco" Willy De Ville. Sono undici tracce della lunghezza media di quattro minuti e mezzo, che raccontano di strane nuotate coi pescecani (una metafora sul cinismo e le ingiustizie del mondo), di folle impazzite, di tristi storie, di amori travagliati e di urli alla luna, cantati con l'intensità e la brillantezza di un artista che a ragione va incluso nelle pagine migliori dell'heart and soul.