JON DEE GRAHAM (Escape from Monster Island)
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  Recensione del  30/01/2004
    

John Dee Graham non è nuovo alle cronache discografiche. Negli anni ottanta è stato il chitarrista dei True Believers di Alejandro Escovedo partecipando alle breve ma significativa avventura di quel gruppo. Dopo anni di silenzio eccolo ritornare con un lavoro che nulla ha a che vedere con la musica della band texana. Come Escovedo, John Dee Graham si è costruito una realtà di songwriter fatta di ballate e canzoni, di suoni rock e poesia della strada, lavorando più sulla voce che sui suoni. Se difatti questi ripercorrono lo stile di quel rock che sta a mezza strada tra città e praterie (lui viene da Austin), la voce è qualcosa che sfugge alle più classiche catalogazioni della musica texana e per tutte le dieci tracce di «Escape From Monster Island» mantiene un'affascinante tono dimesso e rauco che lo fa assomigliare al Tom Waits meno catarroso ed iconoclasta.
La voce di Graham è difatti roca, calda, bassa e sofferente, una carta vetrata su cui viene raccontata una storia loser di quelle che non fanno notizia se non per riempire i solchi di un disco di serie B. Dall'iniziale $ 100 Bill alla conclusiva incalzante Airplane, l'umore si mantiene pressoché inalterato, monocorde, quasi rassegnato ma invece di tediare e ripetersi, John Dee Graham costruisce un album in cui è facile trovare riparo, cogliere il sentimento, accovacciarsi e difendersi dall'ignobile big sound che i grandi media e le grandi produzioni strombazzano oggi giorno. «Shelter From the Storm» verrebbe voglia di dire oppure, come metaforicamente scrive lo stesso autore, «Escape from Monster Island».
Coadiuvato da una band con chitarra (Mike Hardwick), basso (George Reiff), batteria (Rafael Gayol), piano e organo (Michael Ramos), Graham, che si cimenta sia con chitarre elettriche che acustiche, alterna canzoni intime, bluesate nell'anima a ballate dalla decisa impronta chitarristica che sanno di polvere, di motel da 30 dollari, di storie anonime. Un rock ruvidamente classico e dalla produzione low budget, fonte ancora una volta di salvazione per un autore ed un musicista perso nella grande provincia americana, che ricorda quegli asfalti dove ha corso un tale Bruce Springsteen, oggi hobo ma ieri rocker a quattro cilindri.
Più malinconiche, confidenziali, sapientemente contrappuntate da un piano o da una chitarra acustica, segni di un romanticismo rock di antica nobiltà, sono la waitsiana «Wait», la struggente «$100 Bill», l'eco languido di «When a woman Cries» ed il country & western di «Mockingbird Smile», il sussurro di «Wave Goodbye», i colori crepuscolari di «Kings». Seppiate e artigianali, le ballate di John Dee Graham, arrivano dalla periferia dell'impero ma senza avere il vestito di moda e senza gridare si insinuano calde e amiche nel cuore, regalando un altro pezzetto di american dream. Di quello che i giornali e la televisione non parlano mai ma che le favole del rock vorrebbero regalare agli outsiders e non all'eroe di turno.