KEVIN GORDON (Cadillac Jack's # 1 Son)
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  Recensione del  30/01/2004
    

La storia racconta che Kevin Gordon, mentre era ad Oxford nel Mississippi per un concerto, viene raggiunto da una telefonata della moglie che lo avvisa che un certo Mr. Keith Richards si è messo in contatto via telefonica per poter registrare una sua canzone. Ha impiegato tre settimane Kevin Gordon a superare lo shock e a rendersi conto che quella telefonata corrispondeva a verità. Non è la prima star ad interessarsi di Gordon, recentemente una sua canzone, «Deuce and A Quarter», è stata «coperta» da D.J Fontana e Scotty Moore nell'album dei All The King's Men ed una versione di «Fast Train», presente su questo suo album, è stata inclusa dal rockabilly-rebel Sonny Burgess in un suo disco per la Rounder del 1996.
Kevin Gordon non è nuovo all'avventura discografica nonostante il suo nome dica poco. Cresciuto a West Monroe nel Nord della Louisiana ma laureatosi in letteratura all'Università dell'Iowa, Kevin Gordon ha origini middleclass ed una vena di scrittore che gli ha permesso di pubblicare i suoi poemi sul Denver Quarterly e sul Southern Poetry Review. Come performer debutta nel 1993 con «Carnival Time», un album che viene edito dalla neozalendese Real Groovy Records e che si apre con la spedita «Lucy and Andy Drive To Arkansas», uno swamp-blues alla Sonny Landreth che è contenuto anche in «Cadillac Jack's #1 Son».
«Cadillac Jack» si può considerare il disco più compiuto di Kevin Gordon perché, oltre ad essere più robusto rispetto al disco d'esordio, assembla cinque dei sette brani che appartenevano a «Illinois 5 am», un mini Lp uscito nel 1996. Coadiuvato dal bassista David Jacques e dal batterista Paul W.Griffith e da un ensemble di sessionmen in cui spiccano i nomi di Danny Federici (organo), Bo Ramsey (slide guitar) e Jeff Finlin (backing vocal) e prodotto dall'E-Streeter Garry Tallent, Kevin Gordon realizza con «Cadillac Jack» un ottimo prodotto di roots-music in cui convergono in maniera originale swamp-blues, rock n'roll, rockabilly, canzone d'autore e honkytonk. Gordon è un autore con una certa verve descrittiva (il Cd riporta tutti i testi) e come cantante ha uno slang vocale che ben si adatta al mood musicale sudista. Liriche, ritmo, suoni e voce vanno a braccetto e nessuno prevale sull'altro così che è difficile dire se Gordon sia più songwriter o rocker. È una sorta di Sonny Landreth con meno virtù chitarristica e più macchina da scrivere ma nelle sue canzoni è possibile trovare anche John Hiatt, Steve Earle e Anders Osborne.
«Cadillac Jack» mostra tutte le sue qualità e ragala quarantacinque minuti di musica gustosa e genuina, prodotta in modo schietto e suonata come Dio comanda. Un sound solido e canzoni con l'anima dell'America di provincia, quell'heartland fatto di strade blue e distese piatte che sono la mitologia di un certo rock stradaiolo. Si inizia coi sogni e le macchine a rate di «Company Car» e si prosegue col puro rock n'roll di «Blue Collar Dollar» per poi imbattersi in «Pauline», sedicenne dal cuore d'oro che conosce tutti i ragazzi della band e regala loro dolci di zucchero avvolti in una stagnola rossa. Malinconica e con la fisarmonica, «Pauline» è il volto triste di Gordon ma non è l'unica ballata di «Cadillac Jack».
Un sottofondo d'organo, una slide ed una voce disillusa e stanca sono i protagonisti di «Dissatisfied» mentre la conclusiva acustica «Heaven and The Hangin Tree» sembra appesa al filo dei ricordi. Il resto ha più muscoli e soprattutto una sezione ritmica che fonde rock n' roll e spezie louisiane. «Over The Leeve» è sudista fino al midollo e potrebbe appartenere al Texico di Tom Faulkner, «Looking Far Killerman» è uno stompin' da roadhouse.